ATTUALITÀ
08 aprile 2025

La violenza contro il personale sanitario: correlazioni con il contenzioso in odontoiatria

Biancucci P.

“Se non salvi mia madre ti ammazzo”. Così si esprimeva il figlio della signora 83enne soccorsa dal 118 in casa a Torino, minacciando con la pistola puntata alla testa il medico che stava cercando di rianimare la madre, in presenza dell’infermiere pietrificato dalla paura. Pronta la risposta di Anelli, presidente FNOMCeO «È tempo che la politica si accorga degli operatori del 118: medici, infermieri, autisti soccorritori che ogni giorno, ogni notte, entrano silenziosi nelle case, intervengono sulle strade, lottano contro il tempo e contro pericoli di ogni genere, non ultima la violenza degli stessi pazienti o dei loro parenti, per salvare vite». Altrettanto pronto lo sdegno di Giustetto, presidente OMCeO Torino «I medici devono essere messi nelle condizioni di fare i medici, in qualsiasi contesto esercitino la professione, e di poterlo fare in serenità e sicurezza. E non costretti ad atti di eroismo per portare a termine il loro compito».

I numeri parlano chiaro: il Rapporto Fnomceo-Censis, presentato a Foggia il 4 settembre 2024, fa riferimento a 18.213 sanitari aggrediti, coinvolgendo nel complesso circa 22mila operatori, di cui il 41,2% non si sente più sicuro nello svolgere il suo lavoro a causa delle violenze, il 18% ha paura di lavorare di notte, l’11,8% ha paura di recarsi nel suo luogo di lavoro. Per il 91,2% dei medici è sempre più difficile e stressante lavorare nel Servizio sanitario, il 74,6% dei medici sente di lavorare troppo e si sente psicologicamente a rischio burn-out, (il 78,4% tra chi lavora negli ospedali). Va aggiunto che sono gli infermieri le principali vittime di violenza con oltre 130mila aggressioni l’anno. È intervenuto anche il legislatore che il 1° ottobre 2024 ha pubblicato in G.U. il d.l. 1 ottobre 2024, n. 137, che reca “Misure urgenti per contrastare i fenomeni di violenza nei confronti dei professionisti sanitari, socio-sanitari, ausiliari e di assistenza e cura nell’esercizio delle loro funzioni nonché di danneggiamento dei beni destinati all’assistenza sanitaria”, e apporta modifiche al codice penale, con la reclusione da uno a cinque anni e la multa fino a 10.000 euro, pena aumentata se il fatto è commesso da più persone riunite, fino all’arresto obbligatorio in flagranza e in flagranza differita.

Eppure, malgrado proclami, appelli, provvedimenti legislativi e pene piuttosto severe, la violenza contro i sanitari sembra non diminuire, rappresentando un epifenomeno dalle mille concause. La percezione da parte dei cittadini di un Sistema Sanitario che non risponde ai loro bisogni, sebbene la Sanità italiana sia una delle migliori al mondo. Le ormai famigerate liste d’attesa che lasciano indietro i meno abbienti, mentre chi se lo può permettere accede velocemente alla Sanità privata, creando così un gap tra poveri e ricchi. Le criticità del SSN a partire dalla fuga di medici e infermieri verso il privato, sia perché gli stipendi sono tra i più bassi d’Europa, allineati con i Paesi dell’Est, sia per il sovraccarico di lavoro per cui chi rimane deve lavorare il triplo, sia per la insufficiente tutela rispetto alla violenza, in parte fisica con le aggressioni e in parte psicologica con le crescenti richieste di danni, espressione di sfiducia nella professione medica.

Ma c’è un dato della stessa indagine che deve farci riflettere, vale a dire che il 66% dei medici, di fronte alle richieste di attenzioni di pazienti e familiari, non ha mai abbastanza tempo per dialogare o dare informazioni e spiegazioni. A questo proposito va ricordato quanto regolamentato dalla Legge Gelli-Bianco 219/17, art 1, comma 8: “Il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura”, ma purtroppo a volte il tempo è tiranno e il paziente si sente disorientato e alla fine insoddisfatto. Sotto questo punto di vista si entra nel vivo della relazione medico-paziente che nei decenni è notevolmente cambiata, a partire dal modello ippocratico di tipo paternalistico per cui il medico esercitava sul malato un potere esplicito stabilendo diagnosi e cura, senza bisogno di ottenere altro consenso se non quello implicito nell’affidamento fiduciale. Con il tramonto del paternalismo si è affermata una relazione medico-paziente più paritaria, sino al riconoscimento eticamente giustificato dell’autonomia decisionale da parte dell’assistito: dalla sudditanza del paziente si è passati ad una “alleanza terapeutica“, dove il paziente è sempre più parte integrante del percorso di cura condiviso, in cui alla fiducia nel medico e nelle sue competenze si affiancano le preferenze, le scelte e l’autodeterminazione del paziente. Umberto Veronesi sosteneva che dobbiamo ritornare alla «medicina della persona… per curare qualcuno dobbiamo sapere chi è, che cosa pensa, che progetti ha, per che cosa gioisce e per che cosa soffre. Dobbiamo far parlare il paziente della sua vita, non dei suoi disturbi. Oggi le cure sono fatte con un manuale di cemento armato, ma così non è curare. La malattia ha una storia, ha un ambiente in cui sorge, ha un soggetto in cui vive e si esprime per simboli oltre che per dati… questa è la definizione della medicina in senso olistico relazionale».

In campo odontoiatrico, privato per il 95% e dove il contenzioso è in continuo aumento fino a rappresentare il 7-8%, la violenza viene esercitata attraverso le denunce da parte dei pazienti per supposta malpractice dei dentisti, anziché attraverso aggressioni fisiche. L’aspetto psicologico emerge dalle cause del contenzioso che, il più delle volte, è innescato da errori comportamentali dell’odontoiatra nei confronti del paziente e tra i più comuni la negazione dell’errore, l’abbandono del paziente, la chiarezza sulle spese, la mancata consegna della cartella clinica. Quando un paziente si rivolge all’odontologo forense di solito parte dal presunto “errore” clinico per poi arrivare ad autodefinirsi “vittima” dell’errore fino ad esprimere la rabbia nei confronti di chi non l’ha ascoltato, non è stato rassicurante nel corso di emergenze e/o complicanze odontoiatriche, si negava al telefono, e altri motivi, tutti derivanti dalla sfera emozionale in subbuglio che ha compromesso la relazione medico-paziente. Ma dobbiamo chiederci da cosa deriva tanta rabbia: probabilmente è la stessa che esprime disagi anche in altri ambiti, la stessa che genera liti tra vicini, la stessa degli haters leoni da tastiera, la stessa che fa minacciare con il coltello qualcuno che ha detto una parola di troppo. E qui ritorniamo all’importanza della Comunicazione, vale a dire che il medico con buone competenze comunicative migliora la consapevolezza dei pazienti e la loro soddisfazione, primo elemento che allontana la sfiducia e previene il contenzioso medico-legale.

Dunque la violenza, anziché fenomeno, diventa l’epifenomeno che ci parla di altro, alla stregua del bullismo scolastico, della ricerca estetica spasmodica, della ricchezza economica, dell’adeguarsi ai disvalori, del perverso rapporto genitori-figli, della fisicità a scapito dell’introspezione, della pretesa di ottenere salute dai medici, salvo poi farli diventare i capri espiatori delle nostre frustrazioni e del nostro più ampio e più profondo disagio.

 

Immagine di copertina by Asier/Adobe Stock.

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