ATTUALITÀ
09 settembre 2024

Dottore, mi prescrive l’antibiotico?

Prof. Mauro Labanca

Siamo sinceri, quante volte ci sentiamo rivolgere questa richiesta? Quante volte i nostri pazienti si sono auto-prescritti e autosomministrati un antibiotico al primo insorgere di un qualunque fastidio, senza ovviamente essere in grado di valutare se si trattasse di un’infezione o di una banale infiammazione (differenza che loro giustificatamente non possono conoscere)? E, siamo onesti, quante volte noi stessi abbiamo capitolato cedendo alla richiesta e prescrivendo un antibiotico per evitare di sentirci poi rimproverare a posteriori di non averlo fatto da subito? E anche con il timore di perdere il paziente che magari migra verso un altro dentista più disponibile e compiacente?

Quando molti anni fa mi affacciai all’argomento, su cui ero già molto sensibilizzato grazie ad una intensa attività da parte dell’ICD1 a cui mi onoro di appartenere, scoprii in realtà un mondo che non conoscevo. Parlando con il prof. Roberto Mattina, direttore del dipartimento di Microbiologia dell’Università degli studi di Milano, cercai di capire meglio perché il problema dell’antibiotico resistenza è già ora un problema enorme, di rilevanza mondiale, che se non meglio gestito ci porterà presto a tornare all’epoca pre-antibiotica, rischiando di morire per una banale polmonite.

Le resistenze sono aumentate a dismisura, non esistono in nuce nuovi antibiotici, la cui scoperta e realizzazione richiederebbe comunque anni. E il problema riguarda moltissimo e drammaticamente soprattutto la classe odontoiatrica. Pure la più recente letteratura in merito2 sottolinea questo aspetto, di cui non possiamo più non prendere atto. Anche le varie associazioni di Cardiologia nel mondo hanno compreso questo aspetto e hanno modificato le loro linee guida, rendendo non più necessaria l’antibiotico profilassi nei casi non particolarmente invasivi (per intenderci, il paziente cardiopatico non deve più fare terapia antibiotica in caso di seduta di igiene orale salvo casi particolari).

Ma allora cosa possiamo fare, ognuno di noi nel proprio piccolo della propria realtà quotidiana, ricordando sempre che siamo medici e abbiamo un compito non solo operativo ma anche etico ed educazionale? Tenendo bene a mente quanto appena detto, provare a comprendere noi prima, e spiegare poi ai nostri pazienti, che l’antibiotico serve solo quando c’è un’infezione ed è un’infezione batterica. Avere fastidio o dolore non presuppone che si tratti di un’infezione, e magari può bastare un adeguato antiinfiammatorio o antidolorifico per gestire il problema. Spiegare che non lo facciamo per cattiveria o menefreghismo, ma per attenzione nei loro confronti. Magari supportando le nostre parole con qualche articolo stampato da consegnare loro, o qualche cartello da mettere in sala d’attesa. Io, ad esempio, se il paziente ha il problema di venerdì e ha timore di essere scoperto, preferisco fare la prescrizione dicendo però di non assumere l’antibiotico se non prima di aver parlato con me, e dò il mio cellulare per dimostrare che mi prendo cura di loro e della loro salute in generale e non solo dei loro denti.

Se ci proviamo, e ci proviamo seriamente, e magari estendiamo questa attenzione anche ad ambiti contigui al nostro (quante volte abbiamo visto assumere antibiotici per una banale influenza che sarebbe rientrata con un po’ di pazienza e di paracetamolo?) forse potremmo nel nostro piccolo seguire l’insegnamento di Gandhi, e cioè contribuire a essere il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo.

Bibliografia

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