ATTUALITÀ
10 giugno 2024

Il danno differenziale in odontoiatria estetica

Enrico Ciccarelli*, Dario Betti**

Il 31 maggio scorso il Palazzo Antonini di Udine ha ospitato il convegno SIOF sul tema “Estetica facciale nella pratica odontoiatrica”. L’occasione di confronto sul tema era suggerita dalla relativamente recente normativa (art.15 ter DL 30 marzo 2023 n.34 che, all’art.15ter, comma 4, precisa: “Alla legge 24 luglio 1985, n.409, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 2, secondo comma, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «e possono esercitare le attività di medicina estetica non invasiva o mininvasiva al terzo superiore, terzo medio e terzo inferiore del viso»;…” estendendo – per ciò che riguarda l’attività di medicina estetica – le competenze topografiche dell’Odontoiatra. Detta “estensione” comporta, per l’Odontoiatra, di considerare con rinnovata attenzione alcuni punti dell’operatività clinica con riferimento in particolare alla fase della registrazione delle notizie anamnestiche del paziente e a quella dell’informativa finalizzata al consenso. Sotto l’aspetto medico-legale, comporta invece di riformulare – nella fattispecie dell’attività odontoiatrica – il già consolidato argomento del danno differenziale.

L’aspetto clinico odontoiatrico
La raccolta dei dati anamnestici, nella consueta forma di questionario da sottoporre al paziente per la sua consapevole sottoscrizione, deve comprendere – nel caso di richiesta di medicina estetica – anche il riferimento a eventuali precedenti interventi con la medesima finalità. È infatti nota la possibilità di interferenze delle procedure “mini-invasive” con esiti di pregressi trattamenti (in particolare il cosiddetti “filler”). Come corollario alla raccolta anamnestica, andranno chiarite le motivazioni a sostegno della domanda di trattamento, accertando – nei limiti della competenza del professionista – il grado dell’eventuale disagio correlato al difetto che si intende correggere, talora anche con ricorso alla competenza di psicologi o psichiatri, figure non tradizionali dello studio – “Modello interdisciplinare nello studio odontoiatrico” Betti D. e Sambin S. Dental Cadmos. 78(1):39-50, 2010. L’informazione, oltre ad esporre i caratteri generali del procedimento e le prescrizioni di collaborazione post-intervento, dovrà comprendere anche (esponendola in termini cautelativamente percentuali) la possibilità di gradi parziali di successo della procedura, per quanto riconducibili ai caratteri dei materiali impiegati e alle inevitabili reazioni generali e locali.

L’aspetto medico-legale
Per quanto attiene, invece, alla molteplicità degli aspetti medico-legali, affrontiamo schematicamente in questa sede la problematica del possibile insuccesso dell’atto odontoiatrico e di conseguenza dell’aspetto valutativo del danno. Aspetto che presenta notevoli profili di complessità poiché, in linea di principio, l’intervento avrebbe lo scopo di migliorare una condizione ritenuta non soddisfacente. È quindi chiaro che la definizione dello “stato anteriore” è imprescindibile per una successiva valutazione del danno che diventa “differenziale” tra la situazione anatomo-funzionale successiva all’atto odontoiatrico e quella antecedente, oggetto della domanda del paziente. Peraltro, ove la richiesta provenga da un soggetto con normali istanze estetiche, ma concerna più un’alterata apprezzabilità del sé, seppur sostenuta da una lieve alterazione anatomica, l’attenzione, oltre alla valutazione del danno, esito della procedura non andata a buon fine, si focalizza sulla fase preparatoria.

Questa dovrebbe prevedere, a nostro parere, anche uno studio dell’assetto psichico del richiedente (in quanto già “tratti di personalità” narcisistici, ossessivo-compulsivi, ancorché non tali da sfociare nel vero e proprio “disturbo di personalità”), che possono essere spunti di attivazione del contenzioso nei confronti dell’Odontoiatra. Pertanto è fondamentale che il professionista che si confronterà con questa nuova sfida concessa dalla novella normativa, abbia presente la necessità di documentare bene lo stato anteriore, di prospettare il possibile risultato sia in termini visivi, sia di percentuali di successo, ma anche di analizzare (ed eventualmente far certificare) preventivamente la struttura psichica del richiedente. Quest’ultimo punto è poi fondamentale per giustificare l’indicazione all’intervento, se realmente orientato a gestire un disagio psico-fisico, come da classiche indicazioni della OMS.

Una procedura preliminare così articolata, nel caso di contestazione dell’esito del trattamento, facilita la valutazione del danno, poiché consente di avere delle solide basi oggettive dello stato anteriore, compreso il grado di insoddisfazione originale (con ricaduta sull’eventuale stima del successivo grado di sofferenza) del richiedente. Quest’ultima, non diversamente dalla stima degli esiti anatomo-funzionali di danno, che sarà per l’appunto “differenziale” rispetto allo stato anteriore, andrà calibrata, in termini di confronto con il reale – ove preventivamente accertato – grado di disagio/sofferenza del paziente.

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