CONSULENTE DI ORGANIZZAZIONE
05 maggio 2025

La responsabilità della struttura sanitaria

Dott. Enrico Ciccarelli, Avv.to Michele Lucca

La pubblicazione del decreto attuativo (D.M. 232/2023) della L. 24/17, cd. Gelli-Bianco, dopo un’attesa durata quasi sette anni, ha di fatto concluso l’iter di riforma della disciplina della sicurezza delle cure e della responsabilità sanitaria. Sono stati infatti delineati e declinati tutti i parametri relativi alla gestione del rischio clinico ed alla modalità di assunzione della copertura assicurativa o delle analoghe misure cui sono obbligati a ricorrere sia i professionisti sanitari sia le strutture sanitarie, che siano pubbliche o private. Punto imprescindibile della riforma nel suo complesso è rappresentato dal perseguimento della sicurezza delle cure che si attua attraverso l’insieme di tutte le attività finalizzate alla prevenzione ed alla gestione del rischio clinico nonché dall’utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche e organizzative.

Sono proprio questi due aspetti quelli che sanciscono il cambio di paradigma in tema di responsabilità sanitaria che passa così dalla colpevolizzazione del singolo sanitario a quella dell’organizzazione, in quanto sono attività la prima, quella della gestione del rischio clinico, che compete a tutto il personale sanitario indistintamente, mentre la seconda, quella delle scelte strategiche, è inerente ai vertici apicali della struttura. Si è quindi virato verso una “spersonalizzazione” dell’operato del singolo professionista, identificando nella struttura il principale responsabile dell’inadempimento, sia per fatto proprio (ex art 1218 C.C.) sia per fatto degli ausiliari (ex art. 1228 C.C.). Il dovere di una buona organizzazione e di una corretta allocazione delle risorse è strettamente legato alla corretta gestione del rischio clinico e rende conto del fatto che la struttura sanitaria in senso lato sia il responsabile preponderante dei costi di risarcimento connessi alla malpractice.

In tal senso, e cioè nell’ipotesi di una corretta allocazione delle risorse o, più correttamente, di un’oculata visione prospettica va letto, ad esempio, l’art 9, comma 2 del D.M. 232/23 laddove si specifica che la scelta di operare mediante assunzione diretta del rischio deve risultare da apposita delibera approvata dai vertici della struttura sanitaria … “che obbliga il vertice della struttura a giustificare la propria opzione in un senso piuttosto che in un altro”. Del resto la letteratura scientifica più recente e maggiormente accreditata in tema di gestione del rischio clinico afferma che la gran parte degli errori in medicina è legata a problemi organizzativi (85%) piuttosto che ad errori del singolo (15%) quasi esclusivamente dovuti a imperizia tecnica. Si tratta quindi soprattutto dei cd. errori latenti riconducibili a fattori gestionali, organizzativi, ambientali, fattori legati alla composizione dei team, al compito affidato, alle caratteristiche del paziente e solo in minima parte al singolo operatore.

Dall’analisi della giurisprudenza emerge peraltro sempre più forte la consapevolezza che la società odierna è caratterizzata da rischi e complessità tali per cui proibire le attività pericolose risulterebbe impraticabile. Un divieto del genere, pur eliminando il rischio di danni a beni fondamentali, causerebbe all’economia e alla società danni di gran lunga maggiori di quelli che si intenderebbero prevenire. È importante notare al riguardo che alcune decisioni hanno decisamente virato verso un carattere oggettivo della responsabilità delle aziende sanitarie (intese come imprese) in caso di carenze organizzative. Si è giunti ad affermare che l’operato di una struttura sanitaria deve seguire criteri di organizzazione e gestione differenti da quelli che regolano l’attività del singolo medico. Da ciò deriva una specifica responsabilità dell’azienda qualora non adotti standard operativi rigorosi, modellandosi su criteri di natura oggettiva.

Di conseguenza l’impegno del legislatore si è andato via via concentrando sulla gestione di questa complessità, attraverso il controllo e la riduzione dei fattori di rischio entro limiti accettabili. L’art. 7 della legge Gelli-Bianco, prima ancora della normativa d’attuazione sopra richiamata, riflette dunque una sorta di approdo. Se ne deduce che, sebbene sia responsabilità della struttura sanitaria organizzare e fornire tutte le risorse umane (collaboratori) e materiali (strutture, apparecchiature diagnostiche, strumenti chirurgici, ecc.) necessari per l’adeguata esecuzione della prestazione, il presupposto di base è che, anche quando l’errore è direttamente attribuibile al medico, la causa originaria e precedente risiede nella struttura stessa. Quest’ultima infatti ha permesso al sanitario di commettere l’errore, in linea con il principio filosofico, prima ancora che giuridico, della molteplicità dei fattori che concorrono agli errori umani all’interno di sistemi complessi.

A questo punto sorge una questione complessa: quale sia esattamente il livello organizzativo “ottimale” per poter considerare insufficiente quello effettivamente fornito dalla struttura sanitaria. In questo ci vengono in aiuto le analisi condotte attraverso l’esame della normativa sanitaria confrontata con i risultati di studi aziendali sul “risk management”. Tale indagine permette di identificare all’interno di un’organizzazione con problemi o disservizi, le possibili cause di un’errata prestazione sanitaria e quindi di affermare che la responsabilità dell’ente può derivare unicamente da gravi e colpose carenze organizzative della struttura ospedaliera stessa (si pensi a Cassazione penale, sezione IV, nella sentenza n. 46336 del 10 novembre 2014, che ha escluso la responsabilità del medico qualora la struttura presenti delle mancanze). Tenuto conto di queste considerazioni è quindi evidente come il legislatore abbia normato la creazione, all’interno di ogni struttura sanitaria, della cd. “Funzione valutazione sinistri” (art. 16 D.M. 232/23 “Funzione per il governo del rischio assicurativo o valutazione dei sinistri” per consentire il cambio di passo dal “chi” al “come e perché”.

Tale organismo ha delle competenze “minime”, esterne o interne alla struttura stessa, che devono essere obbligatoriamente garantite e sono rappresentate dalla presenza al suo interno di un medico legale, di un perito liquidatore, di un avvocato o analoga figura con competenze giuridiche e di un gestore del rischio. La stessa composizione di questo organismo ha una propensione multidisciplinare in linea con la funzione che gli viene attribuita dal legislatore e che è perfettamente in linea con il principio ontologico della riforma. Infatti la “funzione valutazione sinistri” partecipa, in caso di richiesta risarcimento danni, a tutto l’iter procedurale che prevede l’analisi della correttezza della richiesta, l’eventuale strategia risarcitoria e infine la partecipazione all’iter giudiziale del caso. Ma l’analisi della richiesta risarcitoria rappresenta solamente l’ultimo step di un articolato percorso teso alla sicurezza delle cure, che inizia appunto anche da una corretta gestione del rischio clinico. La composizione multi disciplinare, e in particolare la competenza afferente alla gestione del rischio clinico, è fondamentale nell’attenuazione del rischio stesso, andando così ad incidere sul rating della struttura stessa, attraverso la riduzione dei sinistri.

In questo modo, al momento della stipula di una polizza, sia che si opti per una modalità tipo SIR sia che si scelga il trasferimento globale del rischio alla Compagnia, la struttura contraente potrà ottenere un contratto maggiormente vantaggioso. Nell’ottica poi di favorire la trasparenza e la scelta dell’utente l’art 7 del D.M. prevede la pubblicazione da parte della struttura sanitaria dei dati relativi ai risarcimenti liquidati nell’ultimo quinquennio e riferibili a lesioni personali, decessi, violazione della disciplina in materia di trattamento dei dati personali, violazione del consenso legato ad ogni tipo di esercizio di una professione sanitaria, con un bypass di confondimento legato per esempio al numero di attività svolte laddove una struttura particolarmente attiva potrebbe risultare poco virtuosa rispetto ad un’altra meno attiva e quindi più virtuosa. È quindi evidente che tutto il sistema di riordino della responsabilità sanitaria ruota intorno alla sicurezza delle cure che ha tra i suoi elementi fondanti una corretta gestione del rischio clinico ma anche organizzativo e strutturale.

Il legislatore nel dicembre 2023 all’ art. 18 si è dato come limite temporale un lasso di tempo di 24 mesi, cioè dicembre 2025, per l’adeguamento delle strutture sanitarie ai “Requisiti minimi di garanzie e condizioni di operatività delle misure analoghe”. Entro tale limite temporale le strutture dovranno adeguarsi al dettato normativo, soprattutto con un’idonea gestione del rischio clinico che allo stato attuale appare nettamente deficitaria, soprattutto per le strutture private in quanto le Aziende sanitarie hanno al loro interno delle strutture operative semplici o complesse deputate alla gestione del rischio.

Prova della carenza di tale gestione è riscontrabile nella pratica medico-legale relativa al contenzioso, indipendentemente dal ruolo rivestito, che sia consulente d’Ufficio o di parte convenuta o attrice, ove capita di imbattersi molto spesso in cartelle lacunose, in consensi informati non raccolti o raccolti in forma incompleta, in attività cliniche in cui è carente l’adesione a protocolli ormai standardizzati. Se come già accennato, l’articolo 7 della legge Gelli-Bianco riconosce che la responsabilità per gli esiti negativi in ambito medico non è da attribuirsi unicamente all’operato del singolo professionista (pur prevedendo una sua responsabilità diretta in caso di errori particolarmente gravi), allora le cause andranno ricercate nell’organizzazione complessiva delle strutture sanitarie e nei processi adottati di diagnosi, cura o assistenza. Di conseguenza il compito di chi è chiamato a interpretare e giudicare gli eventi di responsabilità sanitaria consisterà nel valutare le cause, non tanto focalizzandosi sul singolo comportamento del medico, quanto piuttosto sull’insieme delle carenze organizzative presenti nel sistema.

In riferimento alla cartella clinica va ribadito che la sua completa ed esauriente compilazione è un mezzo fondamentale per dimostrare la correttezza dell’iter diagnostico, clinico e terapeutico del paziente. Il consenso informato deve essere visto come “un tempo di cura” e non invece come una perdita di tempo, anche perché è ormai patrimonio culturale comune che un rapporto medico-paziente corretto attenua l’eventualità del contenzioso anche in caso di malpractice. Per quanto concerne invece l’attività clinica in senso stretto, nell’ambito di una struttura più o meno complessa, in caso di malpractice non si può più analizzare esclusivamente il comportamento del singolo ma deve essere preso in considerazione tutto l’iter sanitario. La gestione del rischio clinico inizia infatti con il rispetto di procedure e protocolli che si devono attuare sin dal primo contatto del paziente con la struttura stessa, se non addirittura prima. È ovvio che tale nuova prospettiva fa sì che le figure apicali, titolari della struttura e direttore sanitario, siano sempre più coinvolti nelle scelte strategiche della struttura, non ultima quella della nomina della funzione valutazione sinistri che non può portare che elementi di miglioramento nell’offerta sanitaria.

Parimenti, anche la “visione” del medico legale dovrà uniformarsi al cambio di paradigma voluto dal legislatore, andando ad analizzare nei casi di responsabilità sanitaria tutta la catena causale, ricercando sia le cause profonde che i fattori contribuenti con attribuzione di responsabilità proprie ad ogni componente del team. Da questa disamina, certamente incompleta per questioni di spazio, emerge forte la necessità per ogni struttura di avere nel proprio organico (cosi come previsto dal D. 232/23) un legale con competenza in tema di diritto assicurativo e di responsabilità sanitaria, un consulente esperto nella liquidazione del danno ed infine le due figure chiave: il risk manager per ridurre la probabilità di accadimento dell’errore e il medico legale capace di valutare la veridicità dell’addebito contestato alla struttura e di seguire poi tutto l’iter stragiudiziale ed eventualmente giudiziale.

 

Immagine di copertina: da sinistra il Dott. Enrico Ciccarelli e Avv.to Michele Lucca.

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