IGIENE ORALE
11 dicembre 2024

Ipomineralizzazione da eziologia traumatico – infettiva: il ruolo dell’ICON

Jenny Falco

Introduzione
I quadri discromici interessano quasi esclusivamente lo smalto poiché un evento, durante la sua formazione, o successivamente all’eruzione del dente, è stato in grado di disorganizzare l’architettura cristallina dello smalto che, non interagendo più con la luce in modo “ordinario”, appare agli occhi dell’osservatore come bianco, e talvolta anche brunastro. Qualsiasi sia la causa di tale disorganizzazione strutturale, lo smalto affetto viene definito ipomineralizzato. L’ipomineralizzazione è quindi definibile come un difetto qualitativo, localizzato o generalizzato, dello smalto dentario, in assenza di deficit volumetrici. Da non confondere con aree di smalto mancanti o deficitarie: tali quadri vengono definiti ipoplasie. Per garantire un risultato apprezzabile in termini estetici è fondamentale ricercare e comprendere la natura dei quadri discromici, in modo tale da garantire al paziente un approccio personalizzato.

Nel caso proposto ci troviamo di fronte ad una ipomineralizzazione traumatica – infettiva (T/I). È l’esito, su un dente permanente, di un trauma o di un’infezione peri-apicale occorsa a carico del/i deciduo/i corrispondente/i o prossimale/i. Questo tipo di ipomineralizzazione deriva da un disturbo dell’amelogenesi occorso a causa di un evento traumatico, o peri-apicale reattivo, degli elementi decidui. Essendo frutto di un “incidente” più o meno intenso, o di una reazione peri-apicale più o meno estesa, può presentarsi clinicamente nelle forme più disparate, anche solo puramente ipoplasiche. Questa demineralizzazione è decisamente la meno prevedibile. Le sue caratteristiche prevedono (Fig. 1):

  • interessamento di uno o pochi elementi dentari adiacenti;
  • localizzazione a livello del terzo incisale e medio della corona dentale;
  • possibile aspetto a macchia;
  • tende a interessare fino a tutto lo spessore smalteo;
  • può aumentare di spessore;
  • può presentare pigmentazioni brown in superficie;
  • è possibile che sia contenuta interamente nello smalto, ossia vestibolarmente lo smalto può essere normalmente mineralizzato;
  • sottopone i margini incisali a un rischio aumentato di frattura.

Materiali e metodi
Il paziente D., maschio, 31 anni, presenta anamnesi negativa a qualsiasi patologia, fumatore (circa 4 sigarette/die). All’esame obiettivo presenta ipomineralizzazione su elementi 2.2, 3.4 e 4.4, tutti a livello del margine incisale. È stato quindi deciso di trattare esclusivamente quella riguardante l’elemento 2.2, in quanto recava disagio a livello estetico. Il paziente presenta inoltre una seconda classe di Angle, seconda divisione, con morso inverso. Non ha mai avuto la necessità di sottoporsi a interventi restauro-conservativi, limitandosi solo all’igiene orale professionale ogni 4-5 mesi, avendo familiarità con la malattia parodontale.

Il piano di trattamento utilizzato è stato il seguente:

  • analisi della discromia;
  • igiene orale professionale e sbiancamento professionale;
  • realizzazione di mascherine termostampate per la remineralizzazione con applicazione di presidi remineralizzanti;
  • micro-abrasione (MiA);
  • infiltrazione con resina (RI).

Come scritto, la fase diagnostica, concentrata sull’origine della discromia, è di fondamentale importanza ai fini della scelta della metodica di trattamento più adeguata1. Infatti, grazie a questo procedimento è stato possibile comprendere con buona approssimazione la localizzazione della discromia nello spessore dello smalto. È altresì fondamentale la procedura riguardante il rilevamento dello spessore vestibolo-palatale della discromia, che, se troppo elevato, potrebbe rappresentare un fattore inficiante l’intervento minimamente invasivo. A tal scopo, in letteratura viene da più fonti descritta una tecnica empirica volta alla quantificazione dello spessore della discromia: la transilluminazione palatale2, 3 (Fig. 2). La transilluminazione da palatale (effettuabile con lampada fotopolimezzatrice) è basata sul fatto che le ipomineralizzazioni dello smalto, al contrario dello smalto sano, tendono a bloccare la luce. Ad aree transilluminate più scure corrisponderanno quindi spessori maggiori, rispetto ad aree meno scure. La Figura 2 riporta l’illuminazione di un elemento da T/I. Dal processo diagnostico conosciamo le peculiarità generali, ossia che si tratta di una forma che interessa prevalentemente gli strati più profondi dello smalto. Da questa transilluminazione si evince che l’elemento possiede un’area ipomineralizzata a elevato spessore (più scura +++) e delle aree meno spesse circostanti a esse: a medio spessore (++) e a spessore sottile (+).

Si procede con igiene orale professionale e sbiancamento professionale con BlancOne Ultra con perossido di idrogeno al 39% (Fig. 3) poiché, in questo caso T/I, si ritiene possa contribuire alla riduzione o alla risoluzione dell’evidenza clinica del difetto bianco. Potrebbe sembrare un controsenso avvalersi di questa tecnica, in quanto, il più delle volte, è proprio il “bianco” a rappresentare il problema. In realtà, in questi casi il bleaching non è diretto tanto all’area ipomineralizzata ma ai tessuti normali circostanti. La procedura descritta è motivata in questi casi dalla riduzione del contrasto tra l’area discromica e lo smalto circostante sano. Qualora al termine della procedura di sbiancamento si dovesse assistere a un’accentuazione dei difetti, è consigliabile attendere 4/6 settimane di stabilizzazione del risultato4, 5 prima di procedere con altri trattamenti. In questo caso, le applicazioni sono state eseguite come da protocollo del prodotto. Il paziente inizialmente presenta colorazione A3 portata ad A2 (Fig. 4).

 

Successivamente, sono state realizzate le mascherine termostampate al fine di remineralizzare tutti gli elementi dentali. La remineralizzazione è definita come il processo attraverso il quale ioni calcio e fosfato, forniti da una fonte esterna al dente, si depositano all’interno delle lacune della struttura cristallina dello smalto demineralizzato, producendo un incremento strutturale del tessuto mineralizzato6. Piccole quantità di calcio, fosfato e fluoruri presenti nell’ambiente orale sono sufficienti affinché si crei la condizione adatta alla remineralizzazione, a patto che il biofilm spiccatamente acidogeno (cioè quello cariogeno) venga regolarmente e sufficientemente rimosso dalle superfici dentali7 , e che gli acidi di origine alimentare e/o endogeni vengano individuati, valutati e adeguatamente gestiti e/o tamponati8, 9. La remineralizzazione è sempre consigliabile, al di là della presenza di aree discromiche. In questo caso, di fronte a una lesione bianca di T/I, abbiamo scelto di remineralizzare in quanto può contribuire, nel medio e lungo periodo, alla riduzione dell’evidenza clinica dei difetti bianchi.

Abbiamo scelto come uso di presidi remineralizzanti la MI Paste Plus (Fig. 5) con 900ppm di F, in quanto il CPP - ACP topico sembra migliorare la mineralizzazione, grazie alla stabilizzazione degli ioni calcio e fosfato da parte del fosfopeptide di caseina (CPP), una proteina che trasporta questi ioni sotto forma di fosfato di calcio amorfo (ACP). Poiché la caseina è un derivato delle proteine del latte, il CPP - ACP dovrebbe essere evitato nei soggetti allergici a quest’ultimo. La MI Paste Plus viene posizionata all’interno delle mascherine remineralizzanti e il paziente, dopo le corrette manovre d’igiene orale domiciliare, indossa le mascherine per tutta la notte, per un arco di tempo di circa 3 mesi. Vediamo (Fig. 6) come alla nuova transilluminazione l’ipomineralizzazione risulti essere meno profonda. Notando un visibile miglioramento, possiamo procedere con la micro-abrasione (MiA). È una procedura minimamente invasiva che prevede la rimozione dello smalto superficiale fino ad uno spessore massimo di 0,2 mm circa. Tale presidio può essere compiuto mediante un approccio puramente meccanico (per mezzo di gommini siliconici, dischetti abrasivi, frese a varia granulometria, etc.) o chemio - meccanico (per mezzo di sostanze come acido cloridrico, ortofosforico, etc.). Ancora una volta, conoscere la causa della discromia e il suo spessore si rivelano di fondamentale importanza. Dobbiamo aver chiaro che l’elemento micro - abraso perderà gran parte della micro - tessitura superficiale, e talvolta anche la macro, potendo risultare anche fortemente appiattito nel suo aspetto vestibolare. È essenziale comprendere quindi, che tale trattamento può considerarsi risolutivo solo se la discromia risiede, come già affrontato precedentemente, negli strati più esterni dello smalto. In questo caso abbiamo usato Opalustre (Fig. 7): abbiamo scelto di isolare il campo operativo con una diga liquida in quanto il paziente mostrava scarsa tolleranza per la diga di gomma. Fatti indossare gli occhiali protettivi, viene posizionata la mistura micro - abrasiva sull’elemento dentario e si attende un minuto prima di iniziare l’abrasione. Vengono utilizzate coppette in gomma (OpalCups) già disponibili nel kit, montate su un manipolo contrangolo con velocità massima 500 Rpm per massimo 60 secondi per superficie. Il passaggio viene ripetuto tre volte e al termine viene applicata per 4 minuti la GC Thoot Mousse (con assenza di fluoro). Dopodiché è possibile procedere con l’ultimo step, quello dell’infiltrazione con resina.

 

Nel primo decennio degli anni 2000, un gruppo di ricercatori dell’Università di Berlino ha sviluppato una procedura minimamente invasiva avente l’obiettivo di rallentare e possibilmente arrestare la progressione delle lesioni cariose iniziali10, 11, in particolar modo nelle aree interprossimali. Questa procedura, chiamata “infiltrazione con resina” (RI), si basa sulla penetrazione capillare di una resina a basso peso molecolare (TEG – DMA) all’interno della lesione cariosa non cavitata. Al fine di coadiuvare la progressione della resina negli strati più profondi delle aree ipomineralizzate, la parte esterna dello smalto deve essere opportunatamente resa porosa mediante una fase preliminare, che si ottiene in genere mediante un’applicazione di 2 minuti di un gel di acido cloridrico al 15%. Durante la sperimentazione della tecnica, i ricercatori notarono che un effetto collaterale di questa procedura consisteva nel fatto che le white spots infiltrate spesso perdevano, totalmente o parzialmente, il loro aspetto bianco. Tale evenienza si basa sul coefficiente di rifrazione della resina infiltrante che, una volta polimerizzata, è molto simile a quello dello smalto dentale sano12, 13. Lo smalto ipomineralizzato viene, quindi, “mimetizzato” grazie alle proprietà ottiche della resina infiltrata. Pertanto, questo trattamento è stato suggerito anche per migliorare l’aspetto estetico delle discromie bianche14. Il prodotto in questione utilizzato prende il nome di ICON (Fig. 8). Una volta posizionato il gel di HCl al 15% sulla superficie da trattare, è necessario attendere 120 secondi mescolando delicatamente il prodotto con un brush: aspiriamo e laviamo per almeno 30 secondi. Nel nostro caso, abbiamo ripetuto questo step tre volte consecutive. Successivamente, la superficie dentale viene asciugata ed applicato il liquido deidratante, lasciandolo agire fino alla sua evaporazione: è necessario asciugare con aria per almeno 15 secondi. Si applica la resina con l’apposito tampone, strofinando sulla superficie per 3 minuti e si polimerizza per 40 secondi per ogni superficie infiltrata; anche questo step è stato ripetuto per tre volte. Infine, viene raccomandato al paziente di proseguire per un mese con la remineralizzazione con i prodotti e i dispositivi già in suo possesso.

Risultati
È stato osservato come, al termine della nostra procedura, la white spot sia completamente sparita. Il trattamento evidenzia come l’utilizzo di ICON su una lesione bianca di questa eziologia, possa dar luogo a un ottimo risultato a livello estetico senza alcun effetto collaterale, remineralizzando con i giusti presidi e le giuste tempistiche (Figg. 9-13). Dopo tre settimane in cui la situazione è stata monitorata, è stato programmato un controllo per valutare eventuali effetti collaterali e, soprattutto, la soddisfazione del paziente. Non sono state riscontrate anomalie e il paziente è rimasto compiaciuto. I successivi appuntamenti sono stati volti all’igiene orale professionale e al mantenimento dei risultati ottenuti (Fig. 14).

 

 

Bibliografia

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