IMPLANTOPROTESI
22 giugno 2020

Riabilitazione del mascellare superiore-posteriore con trattamenti minimamente invasivi: presentazione di due casi clinici

Efisio Gianni

Efisio G.
 

Introduzione
La richiesta di soluzioni protesiche fisse è in aumento. Gli impianti dentali hanno una prognosi a lungo termine che li rende la prima scelta per la sostituzione di denti mancanti. Purtroppo nei settori posteriori-superiori la presenza di un seno mascellare molto ampio può rendere impossibile l’inserzione di impianti senza procedure finalizzate all’aumento dell’osso esistente. Tali procedure consistono nell’innesto, con varie tecniche, di bio-materiali all’interno del seno mascellare. Tutto ciò aumenta purtroppo i costi e i tempi della terapia e non ultimo le sequele post-operatorie. I pazienti sono molto restii ad accettare tali piani di trattamento e richiedono procedure alternative che permettano costi inferiori, tempi rapidi, ma allo stesso tempo una buona prognosi a lungo termine.
Per questo si stanno sviluppando nuove tecniche minimamente invasive. Nell’articolo verrà presentata una tecnica di inserzione di impianti corti transcrestali e inserimento di concentrati di plasma ricchi di fattori di crescita (PRGF Endoret) all’interno del seno mascellare a protezione della membrana di Schneider.

Revisione della letteratura
Il rialzo del seno mascellare per via transcrestale è una procedura comunemente utilizzata da più di due decenni. È molto apprezzata sia dai pazienti che dagli operatori perché abbassa i costi delle procedure, ne limita la durata e le sequele post-operatorie ed ha un buona prognosi a lungo termine. Alcuni autori hanno valutato le limitazioni di questa tecnica in relazione all’ampiezza del seno mascellare. Si è visto che, se l’ampiezza supera i 12 mm, tale tecnica non è indicata e si deve ricorrere ad un aumento per via laterale1, 2.
Gli impianti corti hanno un follow-up superiore ai dieci anni e sono ormai considerati una buona alternativa terapeutica a procedure di rigenerazione ossea3.
Talvolta lo spessore del pavimento del seno è talmente ridotto da non essere sufficiente anche per l’inserimento di impianti corti. Molti autori concordano che l’altezza minima del pavimento del seno che garantisce la stabilizzazione di impianti inseriti contestualmente all’aumento dell’osso sia 3 millimetri4, 5. Secondo altri autori questa misura non sarebbe così rigida, ma è possibile l’inserimento di impianti in aree con altezza d’osso minore purché ci siano 3 millimetri d’osso almeno su una porzione dell’impianto. Sono presenti in letteratura articoli che descrivono l’utilizzo di impianti corti in combinazione con un aumento transcrestale6, 7.
Alcuni autori hanno ipotizzato che il materiale da innesto per il rialzo del seno non debba essere necessariamente particolato8, 9.
Negli ultimi vent’anni sono stati studiati i concentrati piastrinici come possibile alternativa sia mischiati con materiale particolato che da soli10-12.

Caso 1
Il paziente è un uomo di 47 anni in buono stato di salute che lamentava ascessi ricorrenti a carico dei denti presenti nel settore 2. All’esame Rx i denti 26, 27 apparivano ricostruiti con due corone in metallo-ceramica e trattati con terapie canalari incongrue. Erano presenti lesioni radiotrasparenti di origine endodontica agli apici radicolari (Fig. 1). Si evidenziava una perdita ossea interprossimale, dovuta a malattia parodontale, con presenza di sondaggi importanti e probabile interessamento della forcazione. Dopo discussione col paziente e valutazione delle opzioni terapeutiche i due denti furono considerati irrecuperabili ed estratti. Si aspettò quattro mesi prima della chirurgia per permettere una completa guarigione dell’osso. Fu eseguita una CBCT del settore due e la situazione clinica fu studiata col software di progettazione implantare (Figg. 2, 3). Dalla dental-scan si poteva diagnosticare un forte riassorbimento osseo che nella zona tra i due impianti portava ad avere solo due millimetri di cresta residua.
Fu allestito un lembo di accesso a tutto spessore che si estendeva intrasulcularmente fino al dente 24, non furono eseguiti tagli di scarico. Furono eseguite le osteotomie fino alla profondità massima e poi la corticale del pavimento del seno fu “consumata” con le frese da taglio frontale del kit chirurgico del sistema implantare BTI. Dopo l’esposizione della membrana di Schneider, furono inserite negli alveoli dei concentrati di PRGF ottenuti da centrifugazione del sangue del paziente col sistema Endoret e una porzione dell’osso autologo recuperato dalle frese utilizzate a basso numero di giri. Furono inseriti due impianti BTI UnicCa Universal Plus 4,5 x 6,5 nel sito 26 e 5 x 6,5 nel 27. Fu applicata una membrana di PRGF mischiata ad osso autologo sulla superficie ossea vestibolare e successivamente una seconda membrana di PRGF a protezione dell’inserto (Figg. 4, 5). I lembi furono suturati sopra gli impianti per una guarigione sommersa.
Fu eseguita CBCT di controllo per verificare l’inserimento impiantare (Figg. 6, 7). Si potevano vedere i due impianti protrudere all’interno del seno con gli apici completamente circondati dalle membrane di PRGF. Dopo quattro mesi gli impianti furono scoperti e fu verificata l’avvenuta integrazione. Due pilastri transepiteliali Multi-Im BTI furono avvitati sugli impianti e due tappi di guarigione applicati.
Fu eseguita una Rx di controllo (Fig. 8). A due mesi dalla seconda chirurgia la gengiva aveva un aspetto sano, fu presa un’impronta digitale con scanner intraorale e dopo due settimane le corone definitive furono avvitate (Figg. 9, 10).

Caso 2
Il paziente è un uomo di 53 anni in buono stato di salute che lamentava ascessi ricorrenti nel settore 2. All’esame Rx il dente 26 presentava una corona in metallo-ceramica (Fig. 11). L’elemento presentava una terapia canalare incongrua con una lesione radiotrasparente di origine endodontica, era inoltre presente un sondaggio vestibolare con coinvolgimento della forcazione. Il dente fu considerato irrecuperabile ed estratto. A guarigione ossea avvenuta dopo quattro mesi fu eseguita una cone-beam. Dallo studio con il software di progettazione implantare (Fig. 12) si vedeva che l’impianto sarebbe protruso per almeno tre millimetri all’interno del seno mascellare. L’incisione si estendeva intrasulcularmente dal dente 27 al dente 25 senza tagli di scarico. L’osteotomia fu eseguita volutamente non in centro alla cresta edentula ma leggermente distale vicino al dente 27 per una migliore gestione degli spazi interprossimali. Fu inserito un impianto BTI UnicCa Universal 3,75 x 6,5. Tutte le procedure furono sostanzialmente uguali a quelle del caso 1, tranne che il pilastro transepiteliale Unit BTI che fu subito avvitato e un pilastro di guarigione applicato per evitare la seconda chirurgia (Figg. 13, 14). Fu eseguita una Rx endorale di controllo (Fig. 15). Dall’esame di controllo con la cone-beam si vedeva che l’impianto protrudeva per circa tre millimetri all’interno del seno con l’apice circondato dalla membrana di PRGF (Fig. 16). Dopo quattro mesi la gengiva appariva sana e, dopo aver testato l’avvenuta integrazione, fu presa un’impronta ottica. Due settimane dopo fu avvitata la corona definitiva (Figg. 17, 18). Al controllo Rx il risultato appariva stabile e sembrava esserci una buona risposta dell’innesto all’interno del seno mascellare (Fig. 19).

Conclusioni
La revisione della letteratura e l’analisi di questi casi sembrano indicare che l’ utilizzo di impianti corti in associazione con un rialzo transcrestale del seno mascellare siano una valida alternativa al rialzo per via laterale anche in situazioni anatomiche sfavorevoli. L’utilizzo di impianti corti rende possibile utilizzare una tecnica transcrestale anche nel caso di seni mascellari ampi poiché gli apici degli impianti protrudono per pochi millimetri all’interno del seno. Membrane di PRGF sembrano poter essere utilizzate in alternativa ad innesti particolati.


Bibliografia
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