Introduzione
Negli ultimi decenni, il trattamento implantare è divenuto una pratica
comune e predicibile al fine di sostituire gli elementi dentari persi1, 2.
Tuttavia, è ampiamente dimostrato in letteratura, che la perdita di un
elemento dentario è inesorabilmente legata ad un’alterazione dell’osso
alveolare sia in altezza che in spessore, dal momento che il volume e la
forma di quest’ultimo sono legati proprio alla presenza dei denti3, 4.
Queste alterazioni possono comportare per il clinico una difficoltà nel
garantire al paziente una corretta riabilitazione implanto-protesica.
Per questo, nel corso degli anni, sono state utilizzate diverse tecniche
per contrastare il fisiologico riassorbimento dell’osso alveolare a
seguito di un’estrazione dentaria5, 6. Queste consistono,
generalmente, nell’utilizzo di un sostituto osseo e di una membrana per
effettuare una rigenerazione ossea guidata (GBR). Il principio di base
di questi metodi consiste nel posizionare una membrana di barriera tra
il tessuto molle e l’osso residuo per evitare che le cellule epiteliali a
proliferazione rapida colonizzino il difetto osseo e per creare spazio e
dare tempo alle cellule osteogeniche a divisione lenta di migrare
nell’area del difetto. Il requisito chiave per la rigenerazione è la
creazione di uno spazio; la membrana infatti provvede a isolare i
tessuti molli e allo stesso tempo fornisce lo spazio necessario per la
stabilità del coagulo ed il reclutamento delle cellule mesenchimali e
delle cellule osteoprogenitrici3-6. La membrana ideale
dovrebbe essere facilmente manipolabile per adattarsi al sito,
minimizzando il rischio di perforazione tissutale e di deiscenza.
L’utilizzo di un sostituto osseo comporta, inevitabilmente, un
allungamento dei tempi di guarigione per consentirne l’integrazione e la
maturazione, con una attesa minima di 6 mesi prima del posizionamento
implantare7, 8. Alcuni autori hanno riportato
l’utilizzo di membrane in politetrafluoroetilene denso (d-PTFE) nelle
tecniche di preservazione dell’alveolo post-estrattivo, tuttavia il
principale problema riscontrato era la contaminazione batterica e la
possibile perdita parziale/totale del sottostante innesto osseo.
Recentemente, è stata sviluppata una nuova membrana in d-PTFE (Permamem,
botiss gmhb) caratterizzata dal piccolissimo diametro dei pori,
inferiore a 0,3 μm, che la rende resistente alle infiltrazioni
batteriche, una caratteristica che ne consente l’esposizione
intenzionale nel cavo orale, senza alcun effetto negativo sul processo
rigenerativo.
Materiali e metodi
Un paziente maschio di 46 anni giungeva alla nostra osservazione con una
frattura verticale sotto-gengivale dell’elemento dentario 2.4 (Fig. 1).
Nel versante vestibolare era presente una fistola e il dente presentava
anche una lesione periapicale, pertanto veniva classificato come
“hopeless” e si programmava l’estrazione. Prima dell’intervento, veniva
prescritta una profilassi antibiotica, e si eseguiva un’estrazione
atraumatica mediante l’utilizzo di sindesmotomi. La cavità alveolare
veniva attentamente curettata e pulita della lesione periapicale (Fig.
2), si misuravano le dimensioni bucco-palatali e mesio-distali
dell’alveolo post-estrattivo utilizzando una sonda parodontale. Dopo la
verifica dell’integrità delle pareti ossee vestibolari e palatali, la
membrana in d-PTFE veniva ritagliata sulla base delle dimensioni del
difetto (Fig. 3) e accuratamente adattata ai margini ossei (Fig. 4),
senza sollevare alcun lembo. La membrana veniva, quindi, stabilizzata
con una sutura a materassaio orizzontale interna di 2 mm al di sotto del
livello del margine gengivale e con due suture incrociate singole (Fig.
5). Nessun biomateriale veniva utilizzato per riempire il processo
alveolare.
Si raccomandava al paziente di effettuare sciacqui due volte al giorno
con un collutorio alla clorexidina 0.2% e di evitare lo spazzolamento
meccanico dei denti adiacenti. Si programmava la rimozione delle suture
dopo 14 giorni, mentre la membrana veniva delicatamente rimossa dopo 5
settimane dall’installazione, semplicemente utilizzando una pinzetta
collage senza anestesia. Si notava la perfetta epitelizzazione
dell’alveolo sottostante (Fig. 6), così come la completa chiusura del
tragitto fistoloso.
Quattro mesi dopo l’estrazione, si effettuava un’incisione crestale e
intrasulculare ai denti adiacenti a tutto spessore e si misuravano,
nuovamente, le dimensioni orizzontali della cresta ossea esposta (Fig.
7), quindi si inseriva un impianto dentale conico con superficie SLA
Active (BLX, Straumann) (Fig. 8).
L’impianto raggiungeva elevati valori di stabilità primaria con un
torque maggiore di 35 Ncm e si adottava un protocollo di guarigione
transmucosa (Fig. 9), con successiva protesizzazione con corona singola
avvitata dopo 4 settimane (Fig. 10).
Fig. 1 - Elemento 2.4 con frattura verticale sotto-gengivale e fistola nel versante vestibolare.
Fig. 2 - Cavità alveolare dopo l’estrazione atraumatica.
Fig. 3 - Membrana in d-PTFE ritagliata.
Fig. 4 - Membrana adattata a coprire l’alveolo senza sollevamento del lembo.
Fig. 5 - Membrana stabilizzata mediante sutura a materassaio orizzontale e suture singole incrociate.
Fig. 6 - Situazione clinica dopo la rimozione della membrana: completa riepitelizzazione dell’alveolo e chiusura della fistola.
Fig. 7 - Cresta ossea 4 mesi dopo l’estrazione, si osserva il mantenimento delle dimensioni della cresta alveolare.
Fig. 8 - Inserimento dell’impianto BLX.
Fig. 9 - Applicazione della vite di guarigione e sutura.
Fig. 10 - Restauro protesico in sito.
Discussione
La membrana in d-PTFE possiede dei pori di soli 0.2 µm, che non
permettono ai batteri di filtrare e permettono quindi un approccio “open
healing”, lasciando la membrana esposta, senza il bisogno di una
chiusura primaria del lembo al di sopra di essa11. Ciò
permette al clinico di preservare l’ampiezza della gengiva
cheratinizzata esistente (non dovendo scollare ampi lembi) e di ottenere
una sua crescita nei siti estrattivi e nei siti di innesto implantare.
La preservazione dell’ampiezza di gengiva cheratinizzata avviene in
virtù del fatto che i margini del lembo vengono lasciati nella loro
naturale posizione anatomica, piuttosto che portati a coprire l’alveolo11. Hoffman e colleghi12
hanno evidenziato come la membrana in d-PTFE posizionata per 4
settimane, anche se utilizzata senza riempitivi, sia in grado di
preservare lo spessore e l’altezza dell’alveolo. Tuttavia, nei casi in
cui erano presenti aree non sostenute si verificava un collasso della
membrana stessa che inficiava il grado di mineralizzazione ossea. Un
prolungato periodo di mantenimento della membrana è, pertanto,
importante poiché in 4 settimane si osserva la presenza di tessuto
osteoide in via di mineralizzazione, e, dopo 2 settimane dalla rimozione
della membrana, l’epitelizzazione sovrastante il tessuto connettivo
denso. La presenza di gengiva cheratinizzata è molto importante per il
mantenimento della salute implantare13, 14. Una sua assenza è
stata associata ad un maggiore accumulo di placca, infiammazione,
recessioni gengivali e conseguente perdita di attacco osseo13, 14.
Le ricerche hanno confermato che le membrane in d-PTFE possono essere
utilizzate in modo predicibile per aumentare le dimensioni del tessuto
cheratinizzato, in previsione di un successivo posizionamento
implantare. La caratteristica di non dover effettuare delle incisioni di
rilascio per ricoprire la membrana, lasciandola esposta, assicura la
posizione originale della linea muco-gengivale e, di conseguenza, la
preservazione della quantità di gengiva aderente cheratinizzata sul
versante vestibolare e linguale11,15. L’innovazione dell’uso
di Permamem nelle tecniche di socket preservation è dovuta alla
combinazione dei vantaggi delle membrane riassorbibili e non
riassorbibili. Grazie alla sua facile manipolazione, permette al clinico
un intervento rapido e riproducile, senza dover ricorrere a dispositivi
di posizionamento (pin metallici). Possiede un potente effetto barriera
senza la preoccupazione di dover ricorrere ad una seconda fase
chirurgica, ascrivibile semplicemente ad una rimozione tramite pinze
College. I suoi piccoli pori non permettono la filtrazione batterica
quindi è possibile utilizzare un approccio “open healing” senza temere
l’infezione della ferita. In ultima analisi, Permamem, può essere
utilizzata senza riempitivo poiché fa da “tappo” alla ferita
sottostante, il che permettere di poter beneficiare del più potente e
prezioso dei materiali rigenerativi: il sangue.
L’utilizzo di un impianto conico con una doppia spira molto aggressiva,
come l’impianto BLX, ha consentito di ottenere una elevata stabilità
primaria e di anticipare il carico protesico definitivo anche in un sito
post-estrattivo posteriore nell’arcata superiore dove ci si aspettava
una scarsa densità ossea.
Conclusioni
In conclusione, questo approccio consente, nei casi in cui sia
controindicato un impianto immediato, di ripristinare una corretta
morfologia ossea per l’inserimento implantare, diminuendo il tempo di
attesa dopo una procedura di preservazione alveolare, ottenendo elevati
valori di stabilità primaria e consentendo un carico protesico
anticipato, con un notevole risparmio di tempo per il paziente.
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