INTERVISTE
20 luglio 2022

Il Prof. Filippo Graziani sulla parodontite e lo stato di salute sistemico

Patrizia Biancucci

La parodontite contribuisce in modo significativo al costo della cura delle malattie dentali, per la necessità di sostituire i denti persi a causa della malattia stessa. In Italia circa 2,5 milioni di cittadini ricorrono alla protesi e circa il 50% di questi a causa degli effetti della parodontite (dati Keystone 2020). Nella più recente indagine svolta nel 2020 su 32,8 milioni di italiani, si è riscontrato come ben l’82% degli intervistati soffra o abbia sofferto di uno dei sintomi potenzialmente associabili a un quadro clinico di parodontite. Si stima che circa il 50% della popolazione intervistata, vale a dire 1 su 2, ne soffra o ne abbia sofferto, e di questi il 50% è rappresentato da pazienti over 60. Esiste poi una correlazione statisticamente significativa tra pazienti con malattia parodontale e concomitanti patologie sistemiche. È dunque spesso il dentista generico che può intercettare questa patologia per poi curarla o farla curare da un esperto. Eppure da un’indagine condotta nel 2017 dall’agenzia Keystone, è risultato che la sonda parodontale, strumento indispensabile per valutare clinicamente lo stato di salute parodontale, è considerata “quasi mai indispensabile” durante la prima visita da circa 1/3 degli intervistati.

Tra i massimi esperti in questo campo, compare un personaggio che si distingue per profonda preparazione e approccio da grande comunicatore, ricercatore curioso e molto attivo sui social, aspetti che rivelano una reale originalità di pensiero, anche scientifico. Potremmo definirlo un personaggio “all’americana”, semplice e diretto, volutamente un po’ dandy nell’abbigliamento, quasi a voler prendere le distanze dalla classica immagine professorale. Stiamo parlando del prof. Filippo Graziani le cui credenziali ci sono tutte: oltre 200 lavori scientifici pubblicati, di cui oltre 90 indicizzati su PubMed con un impact factor di 140, il Robinson Award 013 dell’Accademia Americana di Parodontologia per gli studi in Chirurgia Rigenerativa, il Jaccard Prize 2015 della Federazione Europea di Parodontologia, il Goldman Prize 2017 della società Italiana di Parodontologia per gli studi di nutraceutica. Presidente 2019-2020 dell’European Federation of Periodontology (legame fra parodontite e lo stato di salute sistemico) e socio attivo della Società Italiana di Parodontologia (SIdP). Attualmente professore ordinario di malattie odontostomatologiche all’Università di Pisa, professore onorario University College of London e della School of Dentistry di Hong Kong.

Prof. Graziani, lei si definisce un “parodontologo”. Con questo che cosa intende?

Più che definirmi io sono uno specialista in parodontologia all’Istituto Eastman dell’University College di Londra. Qualsiasi odontoiatra si può definire tale ed è un parodontologo nel momento in cui esercita la disciplina della parodontologia. Ci tengo a fare una precisazione fondamentale: oggi la parodontologia, che in questo momento per fortuna non è più una disciplina elitaria, è percepita come l’applicazione sistematica di tecniche di parodontologia per risolvere casi di persone non affette da parodontite, ossia chirurgia plastica gengivale o chirurgia periprotesica. La parodontologia però è molto più di questo ed è la disciplina che permette di fare diagnosi e trattamento ai pazienti affetti da parodontite, considerando che ne è affetto un paziente su due nella popolazione adulta, diventando così la malattia più diffusa al mondo. Questa è la parodontologia e in questo senso sono un parodontologo.

 Lei è un sostenitore dell’approccio integrale alla persona. Quali sono i criteri su cui si basa?

La prima parte della mia carriera è stata spesa cercando di diventare un chirurgo bravo. La seconda parte invece a diventare un parodontologo bravo. La parodontologia non è un sistema clinico ma un sistema organizzativo: l’attività clinica crea un modo per cambiare il paziente perché è una malattia cronica e la responsabilità è condivisa con il paziente. In questo si distingue molto dalle altre specialità come la chirurgia orale. Si tratta di cambiare la mente organizzativa e per poter gestire questa tipologia di pazienti non si può non avere un approccio sistemico e olistico. Per fare questo è necessaria una conoscenza completa anche a livello nutrizionale, metabolico, una conoscenza insomma su cosa sia il benessere generale dell’individuo.

Riguardo il legame fra parodontite e stato di salute sistemico, ritiene che medici e odontoiatri siano in grado di intercettare una qualche malattia di fronte ad un paziente con malattia parodontale?

Sarò a Madrid alla Consensus Conference mondiale della Federazione Europea di Parodontologia e dell’Associazione Mondiale dei Medici di Medicina Generale (WONKA) in cui il focus sarà proprio il ruolo cruciale del dentista nell’essere sentinella della salute generale, in primis per la malattia diabetica. Di fronte ad un paziente con parodontite importante è necessario porgli domande precise per fare un primo screening sul diabete. Un grande beneficio per la salute intercettare il diabete prima ancora che arrivi all’occhio del paziente e tenerlo sotto controllo con il medico di famiglia. Ci vuole responsabilità e autorevolezza per entrare in un campo esterno a quello odontoiatrico ma permette di ottenere risultati e benefici enormi.

Prof. Graziani, la perdita di denti causa un’effettiva percezione di abbassamento della propria qualità di vita. In cosa consiste questo rapporto di causa-effetto?

In ricerca clinica misuriamo questo rapporto attraverso questionari psicometrici. Nella qualità di vita che in letteratura si chiama “Oral Health Releated Quality of Life” si catturano 7 domini della vita del paziente come la funzionalità e la socialità. L’isolamento sociale è associato a molte più malattie e più infiammazioni sistemiche perché l’uomo è un animale sociale e il ritiro isolato è un fenomeno grave in primis perché peggiora drasticamente la qualità di vita. Questo è evidente in tutti i sorrisi che vengono meno nei pazienti affetti da parodontite per i quali è diventato un serio problema mostrare i propri denti.

 Non crede che tutti gli odontoiatri debbano essere un po’ paradontologi?

 Assolutamente sì, gli odontoiatri sono anche parodontologi. L’odontoiatria è un mestiere estremamente ricco e complesso per quanto è articolato. Certamente, però, la base della nostra professione dovrebbe essere l’applicazione sistematica di criteri diagnostici della parodontologia. Invito i colleghi a fare screening di parodontite. 

Nella maggior parte degli studi dentistici manca la figura dell’esperto parodontologo. È d’accordo che si tratti di una grave carenza, soprattutto in ortodonzia e nelle grandi riabilitazioni?

 Penso che non ci sia bisogno di un esperto a meno che si tratti di uno studio di grandi dimensioni. Questo perché in uno studio medio italiano con 2-3 riuniti l’odontoiatra può dotarsi di quegli strumenti per fare la diagnosi e lo screening. Ho un centro che fa solo parodontologia e penso sia l’unico centro in Italia che tratta esclusivamente casi parodontali: sono moltissimi i casi ortodontici che vengono inviati al centro per essere fermati e ristabilizzati, in modo da poter continuare la terapia perché nell’adulto non è stato fatto lo screening corretto.

 Prof. Graziani, in medicina viene spesso chiamato in causa lo stress. Vale anche per la Parodontite?

 Tantissimo, ancora più che con i denti e mi spiego meglio. Ci sono due modi in cui lo stress lavora sulla salute e vanno capiti: diretto e indiretto. Nel primo caso, quando la persona è stressata, attiva alcune zone più antiche del cervello, il paleo encefalo, che producono una cascata di ormoni che a loro volta attivano una serie di reazioni a livello surrenalico. Si caratterizzano per la produzione del cortisolo e dell’adrenalina ed entrambe sono molecole proinfiammatorie. La parodontite è una malattia infiammatoria. Nel secondo caso, quello indiretto, si attivano comportamenti negativi che aumentano i fattori collegati all’insorgenza della malattia. Gli studi della letteratura confermano che chi è più stressato attiva maggiormente comportamenti negativi quali lavarsi meno i denti, fumare di più e aumentare in questo modo l’infiammazione. Sul dente si percepisce meno rispetto alle gengive che sono mucose e quindi si infiammano.

 Il mio maestro, prof. Bracco, già una trentina d’anni fa, ci faceva tenere una sonda parodontale insieme al nostro strumentario ortodontico. Ritiene che gli ortodontisti debbano lavorare a stretto contatto con i paradontologi? E perché?

Assolutamente sì, soprattutto nell’ortodonzia degli adulti. Non si può pensare di riallineare le arcate nei casi di parodontite non stabilizzata, perché il rischio è quello di moltiplicare la velocità di diffusione della malattia. Non si può non trattare la parodontite, quindi prima di tutto diagnosi e screening.

In quali casi l’ortodonzia può migliorare la malattia parodontale?

 L’ortodonzia può migliorare la parodontite solo insieme alla parodontologia. L’ortodonzia può migliorare la parodontite perché può ricreare delle condizioni del tabulato occlusale che consentano al paziente di controllare meglio la situazione della placca e dei punti di contatto.

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