La perdita di tessuto osseo di
sostegno rappresenta un segno caratteristico della malattia parodontale.
Molti fattori legati al paziente, al dente e al sito concorrono
all’evoluzione del processo distruttivo dei tessuti parodontali: scarsa
compliance del paziente (con conseguente elevato accumulo di placca e
sanguinamento gengivale), fumo, malattie sistemiche caratterizzate da
immuno-deficit (per es. diabete), alterazioni morfologiche (per es.
presenza di perle o proiezioni dello smalto) o iatrogene (restauri
incongrui), malposizioni dentali etc. portano alla formazione dei
cosiddetti difetti infraossei1.
Con la definizione di difetto infraosseo si intende la localizzazione in
senso apicale della base della tasca parodontale rispetto alla cresta
alveolare residua. I difetti infraossei, propriamente detti, sono stati
ulteriormente classificati in base al numero di pareti ossee residue
attorno al difetto in: difetti a 1 parete, a 2 pareti e a 3 pareti2
(Fig. 1). Il trattamento della parodontite, che comprende anche i
difetti infraossei, è basato sulla rimozione ed il controllo del biofilm
sopra e sotto gengivale, con azioni di motivazione di igiene
domiciliare da parte del paziente associate a terapia parodontale non
chirurgica effetuata in studio3. L’AAP, American Academy of
Periodontology, ha definito come chirurgia parodontale rigenerativa
l’insieme di tutte quelle metodiche finalizzate al ripristino
morfologico e funzionale dei tessuti di supporto del dente lesi dalla
malattia parodontale, per tessuti di supporto si intendono: cemento
radicolare, legamento parodontale e osso alveolare propriamente detto4.

Fig. 1 - Classificazione dei difetti parodontali.
In passato metodiche come lo scaling and root planing o il lembo di
Widman modificato venivano erroneamente definite come “tecniche
rigenerative”. In realtà queste procedure determinano una riduzione del
sondaggio parodontale a scapito di un aumento della recessione gengivale
e con una guarigione istologica caratterizzata dalla presenza di
epitelio giunzionale lungo. Una condizione simile è da definirsi, più
propriamente, come riparazione e non rigenerazione. Agli inizi degli
anni ottanta cominciò a divenire evidente la necessità di sviluppare
procedure chirurgiche che potessero garantire la corretta restitutio ad
integrum dei tessuti parodontali. L’elaborazione di disegni di lembo
concepiti in maniera specifica per la rigenerazione parodontale
rappresenta uno dei cambiamenti di maggior rilievo. La preservazione del
tessuto molle a livello interdentale e il corretto riposizionamento
coronale del lembo hanno reso predicibile la guarigione per prima
intenzione del sito operatorio e la stabilizzazione adeguata dei
biomateriali5.
La sempre più accurata comprensione dei meccanismi biologici legati alla guarigione della ferita parodontale6
e l’importanza della stabilità del coagulo ematico hanno dato l’impulso
all’introduzione delle ultime metodiche mini-invasive che permettono di
ottenere la rigenerazione del legamento parodontale sfruttando il più
possibile le capacità rigenerative dell’organismo stesso. Il successo
della terapia parodontale rigenerativa oltre ai dispositivi forniti dal
mercato (membrane, riempitivi, fattori di crescita, etc.) è strettamente
legato a una serie di fattori che possono essere correlati al paziente,
al difetto che intendiamo trattare e alle tecniche chirurgiche che
intendiamo adottare in base al tipo di difetto7, 8.
Fattori legati al paziente
Il paziente candidato a una procedura parodontale rigenerativa deve aver
ben compreso la necessità di raggiungere elevati standard di controllo
microbiologico della placca batterica e dell’infiammazione (FMPS e
FMBS<10%) e di quei co-fattori legati a una riduzione del successo
clinico della terapia, come ad esempio l’abitudine al fumo ed il
controllo della glicemia e/o l’assunzione di farmaci. È quindi compito
del clinico valutare durante il corso della terapia causale la
possibilità di modificare abitudini scorrette del paziente attraverso
interventi di educazione comportamentale, migliorandone gli stili di
vita. In definitiva, esclusa l’eventuale presenza di controindicazioni
assolute locali e/o sistemiche alla chirurgia parodontale rigenerativa,
il clinico deve valutare il grado di compliance del paziente.
Fattori legati al difetto
La predicibilità terapeutica in terapia rigenerativa è strettamente
correlata alla morfologia del difetto infraosseo che riveste un ruolo
chiave nel processo di guarigione. La morfologia dei difetti infraossei è
definita su tre parametri valutati attraverso l’integrazione delle
informazioni derivanti dall’analisi clinica del difetto (sondaggio
parodontale) con quelle rilevabili da radiografie endorali eseguite con
la tecnica dei raggi paralleli:
1. Profondità del difetto (>3 mm);
2. Ampiezza del difetto (angolo rx<25°);
3. Numero di pareti residue.
Tuttavia, in parodontologia non esiste una classificazione così netta da
associare il numero di pareti al risultato clinico, nella realtà
clinica non esistono difetti cosiddetti «puri», molto spesso procedendo
in direzione corono-apicale il numero di pareti ossee può variare:
spesso la porzione più coronale del difetto è a una sola parete mentre
quella più apicale è a due o tre pareti. In definitiva, sebbene non
esistano evidenze in merito a una possibile correlazione tra numero di
pareti ossee residue e livelli di guadagno di CAL, è di fondamentale
importanza valutare quest’ultimo parametro morfologico al fine di
selezionare una metodica chirurgica in grado di garantire una adeguata
stabilità del coagulo in assenza di un difetto contenitivo9-11. Anche il
biotipo tissutale riveste una sua importanza nella manipolazione dei
tessuti molli, spessori gengivali >1 mm avranno una predicibilità
maggiore rispetto a tessuti più sottili.
Tecniche chirurgiche
Analizzando rapidamente il modificarsi negli anni dell’approccio
chirurgico a questo tipo di difetti, in base alle caratteristiche
precedentemente analizzate (paziente e difetto), possiamo notare come ci
si stia dirigendo verso approcci sempre più conservativi, in modo da
consentire una maggior stabilizzazione del coagulo.
- Tecnica di preservazione della papilla
Introdotta da Takei nel 19855, questa tecnica rappresenta il primo
tentativo di sviluppare una procedura chirurgica in grado di preservare
il tessuto interdentale e di garantire un’adeguata chiusura del sito
chirurgico. L’accesso al difetto infraosseo avviene attraverso
un’incisione orizzontale intrasulculare che si estende in senso
mesio-distale rispetto al difetto da trattare; la papilla interdentale
viene conservata nel contesto del lembo vestibolare. Una volta esposto
il difetto infraosseo, l’accessibilità e le procedure di degranulazione e
detartrasi possono essere ulteriormente facilitate eseguendo delle
incisioni di rilascio verticali a livello del lembo vestibolare.
- Tecnica modificata di preservazione della papilla (MPPT)
Introdotta da Cortellini nel 1995 come modifica all’approccio di Takei
nasce dall’esigenza di ottenere e mantenere nel tempo una chiusura per
prima intenzione del lembo a livello dello spazio interdentale al di
sopra della membrana. L’accesso al difetto infraosseo si ottiene
eseguendo un’incisione orizzontale alla base della papilla interdentale
sul lato vestibolare, incisione che si estende a livello intrasulculare
tanto sul lato mesiale che su quello distale al difetto stesso. Il lembo
vestibolare viene successivamente scollato a tutto spessore, mentre il
tessuto interdentale viene conservato nel contesto della porzione
palatale/linguale del lembo anch’essa sollevata a spessore totale. La
corretta esecuzione della MPPT prevede uno spazio interdentale
sufficientemente ampio, superiore a 2 mm, per poter consentire il
ribaltamento sul lato palatale della papilla, e se necessario incisioni
di scarico vestibolari per facilitarne la visibilità e la rimozione del
tessuto di granulazione12, 13.
- Tecnica della papilla semplificata (SPPT)
È stata sviluppata nel 1999 allo scopo di ovviare ad alcuni dei limiti
clinici della MPPT rappresentati per lo più dalla difficoltosa
applicazione negli spazi interdentali ridotti (<2 mm) e nelle regioni
posteriori. La tecnica prevede l’esecuzione di un’incisione obliqua a
livello dello spazio interdentale, mantenendo la lama del bisturi
parallela all’asse maggiore del dente, che viene poi raccordata alle
incisioni intra sulculari sul lato mesiale e distale del difetto da
trattare, sia il lembo vestibolare che quello palatale/linguale vengono
sollevati a spessore totale e anche in questo caso se necessarie si
posso effettuare incisioni di scarico14.
- Tecniche chirurgiche mini-invasive
I primi a parlare di tecniche minimamente invasive in chirurgia
parodontale rigenerativa furono Hannes Wachtel nel 200315, seguiti nel
2007 da Cortellini e Tonetti che presentarono la tecnica MIST (Minimally
Invasive Surgical Technique) introdotta nel tentativo di promuovere gli
esiti clinici delle procedure di rigenerazione tessutale attraverso una
maggiore stabilità postoperatoria del coagulo ematico ed al contempo,
ridurre la morbilità per il paziente16, 17. Le incisioni interdentali si
sovrappongono a quelle descritte nelle tecniche precedenti (MPPT, SPPT)
a seconda dello spazio interdentale disponibile, l’incisione a carico
della papilla viene successivamente estesa a livello intrasulculare sia
sul versante vestibolare che su quello palatale/linguale a carico dei
denti adiacenti al difetto. Queste estensioni permettono di sollevare a
spessore totale almeno 1-2 mm di cresta residua in modo da poter
accedere al difetto.
- Tecnica chirurgica “Single Flap Approach”
Proposta da Trombelli e collaboratori18, 19 nel 2009, la tecnica
consiste nella realizzazione di un lembo a busta la cui estensione in
senso mesio-distale risulta essere la minima possibile, compatibilmente
con la possibilità di eseguire un’adeguata degranulazione del difetto.
L’incisione orizzontale viene eseguita solo sul lato vestibolare o
palatale/ linguale a seconda della morfologia del difetto infraosseo; a
livello dello spazio interdentale l’incisione orizzontale è posizionata
tanto più apicalmente quanto maggiore è la distanza in senso
apico-coronale tra la sommità della papilla e la cresta ossea residua.
L’accesso al difetto infraosseo è garantito del sollevamento a tutto
spessore del lembo sul solo lato vestibolare o palatale/ linguale; la
tecnica di sutura prevede l’esecuzione di un materassaio orizzontale
interno. Caso clinico Paziente donna, 45 anni anamnesi generale
negativa, afferisce allo studio riferendo un gonfi ore presente da
qualche tempo associato a sanguinamento a carico del 2.5. Ad un primo
esame clinico il dente risulta vitale con mobilità di grado 1, viene
riscontrato un sondaggio di 8 mm sul versante mesio vestibolare
dell’elemento, sui restanti versanti i sondaggi risultano nella norma,
l’esame radiografi co conferma la presenza di un difetto infraosseo a
2/3 pareti (Figg. 2a, 2b).
Fig. 2a - Sondaggio clinico iniziale.
Fig. 2b - Situazione rx a tempo 0.
Considerato la condizione di vitalità e stabilità del dente e
l’importanza del 2.5 all’interno di una dentatura sana visto il tipo di
difetto, dopo aver messo sotto controllo l’infiammazione tramite terapia
parodontale non chirurgica, ed aver informato adeguatamente la paziente
sulle varie modalità terapeutiche per realizzare una terapia
rigenerativa, è stato adottato un approccio mini invasivo18, 19. Viene
effettuata, come da protocollo, un incisione prendendo come limite la
parte più apicale del difetto, la papilla interdentale viene lasciata in
situ, viene scollato un lembo a tutto spessore in grado di evidenziare
il difetto ed accedervi per permettere la rimozione del tessuto di
granulazione tramite l’utilizzo di strumenti manuali e ultrasonici, una
volta pulito il difetto, si notano alcune proiezioni dello smalto che
possono essere una concausa nella formazione della tasca (Figg. 3, 4).
Uno dei cardini principali in terapia rigenerativa è l’eliminazione del
tessuto infetto, il curettaggio radicolare e l’eventuale eliminazione
delle malformazioni anatomiche che contribuiscono all’accumulo del
biofilm batterico, alla luce di ciò le proiezioni dello smalto vengono
rimosse tramite l’utilizzo di frese diamantate a grana sottile (Fig. 5).
Fig. 3 - Incisone e lembo scollato.
Fig. 4 - Evidenziazione del difetto, sondaggio intraoperatorio e perle dello smalto.
Fig. 5 - Rimozione delle incongruenze anatomiche (perle dello smalto) tramite strumenti rotanti.
Questo approccio mini invasivo rende difficoltoso l’utilizzo di
membrane, ma al tempo stesso ci consegna un’anatomia del difetto più
contenitiva che permette l’utilizzo di biomateriali riempitivi (RE-BONE®
Ubgen, Padova, Italy) abbinati a materiali osteoinduttivi come le
amelogenine (Emdogain®, Straumann, Basilea, Svizzera)20, 21.
Il protocollo d’uso di questi induttori della rigenerazione prevede di
biomodifi care la radice tramite l’utilizzo di EDTA al 37% per 2 minuti
(Fig. 6). Rimosso l’agente chelante con un abbondante getto d’acqua, il
difetto viene riempito con un biomateriale eterologo di origine bovina
(RE-BONE ® Ubgen, Padova, Italy) mescolato alle amelogenine (Figg. 7-9).
Vengono utilizzate suture a materassaio interno stabilizzate con punti
singoli (Prolene 6/0, Ethicon, Somerville/NJ, Usa) e cianoacrilato
(Histoacryl® B Braun, Pfi effenwiesen, Germania) su un lembo
precedentemente passivizzato e privo di tensioni (Fig. 10).
Fig. 6 - Condizionamento della superficie radicolare (EDTA 37%).
Fig. 7 - Difetto riempito con Biomateriale (Rebone© – UBGEN) e amelogenine (Emdogain).
Fig. 8 - Difetto riempito con Biomateriale (Rebone© – UBGEN) e amelogenine (Emdogain).
Fig. 9 - Biomateriale e amelogenine.
Fig. 10 - Suture e cianoacrilato.
La paziente riceve le opportune raccomandazioni post-operatorie: dieta
morbida e fredda 2/3 giorni, antibiotici Amoxicillina più Acido
Clavulanico (Augmentin® Glaxo Smith Kline, Italia), 2 compresse/die per 6
giorni, antinfi ammatori Nimesulide (Aulin®, Helsinn Birex
Pharmaceuticals, Dublino, Irlanda) ogni 12 ore, Clorexidina 0,12% - 3
volte die per 20 giorni. Le suture vengono rimosse a 10 giorni e le
normali manovre di igiene domiciliare vengono fatte riprendere dal
ventesimo giorno dopo l’intervento.
Si effettua un primo controllo dello spazzolamento a 1 mese e ad
intervalli simili per i primi 6 mesi, quando verrà effettuato il primo
sondaggio post-operatorio e radiografi a di controllo (Figg. 11, 12b).
Al momento il follow-up del caso è a un anno, al controllo radiografico
la situazione si presenta buona con un riempimento del difetto ottimale,
clinicamente il dente è rimasto vitale, non presenta mobilità, abbiamo
un sondaggio di 4 mm. e dal punto di vista dei tessuti molli non abbiamo
avuto recessioni tali da comprometterne l ’estetica (Figg. 13a, 13b).
Fig. 11 - Controllo spazzolamento a 1 mese.
Fig. 12a - Situazione clinica.
Fig. 12b - Rx a 6 mesi.
Fig. 13a - Follow up a un anno.
Fig. 13b - Rx.
Conclusioni
La tecnica presa in esame ci permette di affrontare difetti di
piccola/media entità che se ben selezionati permettono al clinico di
affrontarli con relativa serenità e predicibilità. Tuttavia una tecnica
mini-invasiva non deve essere erroneamente considerata di più facile
approccio rispetto ad altre più “tradizionali”. Innanzitutto ci deve
essere un approccio diagnostico più attento e capace di selezionare il
difetto in forma opportuna (2/3 pareti), localizzazione del difetto
(vestibolare e/o linguale-palatale), mobilità (<3), stato del dente
(vitale, qualità dell’endodonzia, presenza di perni, etc.), una volta
stabilito questo, ed aperto il lembo, l’accuratezza nel rimuovere il
tessuto di granulazione e pulire adeguatamente la superficie radicolare
deve essere maggiore rispetto ad altre tecniche, in quanto la visibilità
in questo caso è decisamente più ridotta. Se vengono rispettate tutte
queste indicazioni, sicuramente abbiamo a disposizione una tecnica in
grado di fornire risultati predicibili ed allungare il mantenimento nel
cavo orale di elementi con prognosi incerte se non adeguatamente
trattati.
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