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25 maggio 2020

Post Covid-19: considerazioni di una odontoiatra, una tra voi

By Patrizia Biancucci



Anche quella mattina, la prima di un lungo periodo di isolamento in casa, ho guardato i fiori sul terrazzo, pensando alla mia psicologa di tanti anni fa che mi diceva “Patrizia, cosa le piace fare la mattina appena sveglia?” (mi alzavo sempre con l’angoscia in un momento buio della mia vita), e io rispondevo “mi piace guardare i fiori”. Risposta “allora guardi i fiori!” e così ho fatto. Ma oltre quei gelsomini, gerani e begoniette, sapevo che c’era il piccolo nemico invisibile, pronto a mietere vittime, anche tra i miei colleghi medici e odontoiatri, ineffabile portatore di lunghe file di camion dell’esercito carichi di bare verso un’indegna sepoltura. In casa mi sono sentita al sicuro, consapevole di aver corso il rischio contagio nei mesi precedenti quando ancora lavoravamo solo con guanti e mascherine chirurgiche, eppure ho vissuto l’isolamento forzato come una sorta di liberazione da una vita farcita di impegni, godendo finalmente del tempo davvero “libero” che improvvisamente era diventato abbondante e al quale mi sono abbandonata facendo tutte le cose rimaste indietro, compresa quella sorta di “otium” che nelle domus dell’età Imperiale era lo spazi dedicato all’anima e il luogo dei piaceri del corpo, essenziale libertà di dedicarsi alla cura del sé e completamento rispetto agli obblighi del lavoro e agli impegni di carattere pubblico.

Da tante riflessioni nasce uno sguardo nuovo sull’Odontoiatria del “passato” (lo stacco di tre mesi corrisponde a un salto generazionale di anni). Riflessioni su come la mia professione si sia evoluta nell’arco di più di trent’anni diventando negli ultimi tempi sempre più “contaminata” da aspetti extraclinici di management e difficoltà di ogni genere, non ultima quella degli oneri economici che hanno finito per “schiacciare” la passione per la clinica, unica vera molla che ci sostiene in questo girone dantesco. Malgrado il mancato guadagno, l’incertezza di ricominciare senza sapere come e quando, sono stati mesi molto proficui e addirittura positivi. Intanto i webinar generosamente offerti da tanti bravi colleghi, quindi l’aggiornamento, e con questi ho scoperto il grande vantaggio della tecnologia che mi ha permesso di utilizzare piattaforme digitali per call conference con l’ordine dei Medici, le associazioni sindacali e le altre numerose riunioni senza dimenticare le visite online ai pazienti felici di non sentirsi “abbandonati”, il valore aggiunto in Ortodonzia dei sistemi con allineatori trasparenti più facilmente gestibili in tempo di quarantena, il maggior utilizzo di videochat anche da parte di chi era meno avvezzo. Tutte cose che dovremo mantenere in fase di ripresa lavorativa, per adeguarci al cambiamento epocale che la professione odontoiatrica può cavalcare superando le antiche reticenze verso molte forme di innovazione. Insomma, c’è stato un “switch” che qualcuno subisce ma che per me, e mi auguro per tanti miei colleghi, è l’opportunità di “ripensare” la propria attività professionale, certamente difficile in questa iniziale Fase 2 ma che porterà a ricomporre le priorità: quella lavorativa non dovrà più essere dominante rispetto alla vita di relazione che molti di noi hanno progressivamente trascurato, compresa l’attenzione verso i figli, piccoli o grandi che siano, e rispetto a quel tempo in cui oziare sembrava tempo perso. Tutto questo ben sapendo che i liberi professionisti, tra i quali noi odontoiatri, tornati in prima linea con i nostri pazienti e ancora ad alto rischio contagio da Covid-19, senza sussidi statali, chiusi per 3 mesi, perdite da mancato guadagno, costi a nostro carico anche per l’approvvigionamento dei DPI, costretti a lavorare con improbabili scafandri, noi che garantiamo un servizio di Salute Orale privato per il 95%, noi che diamo un notevolissimo contributo al PIL, siamo stati dimenticati da un Governo confuso, emanatore di DPCM utili solo a “cogliere l’attimo” nelle varie fasi pandemiche, ma purtroppo privi di una vera e propria vision.

Per quanto mi riguarda, io che ho superato tanti ostacoli e risolto tanti problemi nella mia vita, mi dico “risolverò anche questo”, ma per riuscirci devo credere che questo drammatico “elettroshock” serva a buttarci dietro le spalle un mondo che non esiste più, e dopo esserci liberati della zavorra (non è più come una volta, è cambiato tutto, come faremo, la gente non ha soldi, i pazienti hanno paura, l’economia è crollata, siamo in guerra, e tante altre credenze negative), rimanere a galla sulla grande onda oltre la quale troverò un mondo nuovo a cui mi saprò adattare.

Concludo con una frase, erroneamente attribuita a Darwin, più probabile che appartenga a Leon C. Megginson (Lessons from Europe for American Business, 1963) che comunque domina le mie incertezze e mi aiuta a superarle:
“Non è la specie più forte o la più intelligente a sopravvivere, ma quella che si adatta meglio al cambiamento”.