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11 maggio 2020

Covid-19: “Cosa succederà nel mio studio durante la fase 2” - Intervista al prof. Labanca

Prof. Labanca, è iniziata la “fase 2”, quale sarà la prima cosa che farà alla riapertura dello studio?
Sicuramente la prima cosa, in realtà già fatta alcune volte in questo periodo di chiusura, sarà di avere una serie di incontri con il mio team per valutare tutti insieme le linee guida che ci verranno date di volta in volta e per poter definire le modalità di gestione dei pazienti a 360 gradi. Ma anche e soprattutto come lavorare nel più assoluto rispetto e protezione non solamente di quest’ultimi ma dell’intera squadra, affinché la ripresa corrisponda ad un atteggiamento di grande responsabilità nei confronti di tutti e di doverosa ripresa delle cure dei pazienti che non possono più essere abbandonati a se’ stessi.

Il tema del mantenimento dei rapporti con i propri pazienti è uno degli aspetti che sicuramente non dovrebbe essere stato sottovalutato in questo periodo. Come professionista, ha sfruttato la tecnologia per mantenere un contatto “remoto” con i suoi pazienti e con quali strumenti?
Il mio studio ha 32 anni di anzianità di servizio, sto curando la terza generazione di pazienti che sono quindi già molto fidelizzati e storicizzati. Non ho Facebook e non uso i social (sicuramente in maniera colpevole!). Quello che ho fatto in questo periodo è stato ovviamente attivare lo smart working per i miei collaboratori, che peraltro non sono mai stati messi in cassa integrazione perché ritengo che per poter chiedere si debba prima dare; ho quindi dato loro la possibilità di continuare ad avere il loro stipendio anche se con un ovvio sacrificio da parte mia. Nella fase di chiusura totale i telefoni dello studio sono sempre rimasti ovviamente attivi, dandoci così non solo la possibilità di gestire le eventuali urgenze che si sono presentate ma anche la possibilità di rassicurare i pazienti e tranquillizzarli facendo capire che noi c'eravamo ed eravamo disponibili. Devo dire che tante volte le mie assistenti mi hanno riferito di come le telefonate fossero più a sfondo psicologico che clinico; il paziente spesso ha bisogno di essere rassicurato perché può incorrere altrimenti nella sindrome da abbandono. Lo studio ha un sistema di newsletter rivolto a tutti i propri pazienti, che insieme ai banner presenti sul sito, ha permesso in questo periodo di aggiornare loro sulla chiusura, sulla disponibilità per eventuali urgenze, sulle modalità della riapertura, sui presidi che erano già in essere e su quelli che sono stati aggiunti, per tranquillizzarli su come avverrà la riapertura nel più totale rispetto delle loro esigenze ma anche della salvaguardia del loro stato di salute generale.

Questa vicinanza e assistenza ai propri pazienti è un’esigenza che sarà fondamentale in questa nuova fase di ripartenza delle attività. Molti pazienti avranno un certo timore nell’entrare in uno studio odontoiatrico. Come immagina la comunicazione personale che il clinico e il suo team dovrà instaurare con il singolo paziente per potergli eliminare e/o ridurre i timori dell’accesso allo studio?
Lavorando su pazienti storicizzati e avendo la sterilizzazione posta al centro dello studio, senza porte e con ampie vetrate per renderla completamente visibile, ho da sempre comunicato ai miei pazienti l'importanza che noi diamo alla sterilizzazione stessa ed alla gestione di tutte le procedure. Da ormai 10 anni nello studio è presente il gel disinfettante in sala d’attesa, i copri scarpe, un armadio separato dove lasciare gli effetti personali e la purificazione dell’aria. Gran parte di quello che oggi viene richiesto come procedura addizionale era di fatto già presente da molti anni, perciò quello che in realtà farò in questo periodo sarà continuare a parlare con i miei pazienti come ho sempre fatto, intrattenendo con loro un rapporto molto personalizzato, cercando soprattutto di tranquillizzarli. Il messaggio che ho voluto condividere anche con il mio team è quello di essere rassicuranti, che non vuol dire superficiali o disattenti; credo semplicemente che sia anche il momento di trasmettere un segnale di serenità. C’è stato forse, particolarmente in Italia, un eccesso di drammatizzazione del problema attraverso i “bollettini” serali con la conta dei morti. Tutte questo se da un lato poteva avere un giusto significato per spingere verso un atteggiamento di maggiore responsabilità, dall'altro ha creato sicuramente tanta preoccupazione. Credo che il compito della politica sia quello di dare le regole comportamentali, ma compito di un clinico sia quello di rasserenare e rassicurare i propri pazienti pur nell’assoluto e rigoroso rispetto delle norme vigenti e della sicurezza dei pazienti stessi.

Il settore medico ha avuto una forte evoluzione tecnologica negli ultimi anni ma prettamente in ambito strumentale. L’attuale crisi prodotta dal Covid-19 sembra però aver messo in luce un aspetto della tecnologia trascurato, cioè la telemedicina. Lei ritiene che in ambito odontoiatrico si possa sviluppare questo orientamento nell’ottica di una ottimizzazione delle prestazioni erogate direttamente in studio?
Credo di no. Penso che in odontoiatria la telemedicina non sia così facilmente applicabile, almeno parlando dell’odontoiatria tradizionale e operativa. Chiaramente può avere un significato nelle patologie delle mucose e nelle lesioni del cavo orale; se un paziente dovesse avere una lesione aftosa sospetta o un qualunque tipo di problema muco gengivale potrebbe allora essere possibile tramite la telemedicina intuire o capire di che cosa si tratta e quindi fare eventualmente le prescrizioni del caso. Resta però il fatto che, salvo casi molto rari, l’odontoiatria resta a mio parere una disciplina prevalentemente operativa dove, dopo aver fatto una diagnosi, la soluzione del problema passa quasi sempre attraverso un’operatività.

Oltre agli aspetti tecnologici, una mano nel prevenire i contagi può essere sicuramente legata alla filosofia della Slow Dentistry. Cosa ne pensa? Inoltre, ritiene che possa giocare un ruolo fondamentale più che mai anche la comunicazione in tema di prevenzione?
Da parte di alcuni grandi esperti di comunicazione ed alcuni colleghi si è recentemente affermato il concetto di Slow Dentistry. Nel mio studio ho sempre applicato questa “filosofia” anche quando tale non era! Ricordo che quando ho iniziato a lavorare molti dei dentisti dell’epoca vedevano magari 50 persone al giorno, per micro-sedute di 10 minuti, richiedendo 4 appuntamenti alla settimana o 4 sedute per fare un’otturazione. Io non ho mai seguito questa modalità. Credo che i pazienti abbiano bisogno di conoscere bene le tempistiche, quindi ho sempre cercato di fare il più e il meglio possibile in un numero limitato di sedute, prendendo tutto il tempo necessario non solo per fare ciò che è in programma dal punto di vista terapeutico ma anche per comunicare, per parlare, per ascoltare i problemi e le esigenze del paziente ed avere un giusto intervallo tra un paziente e l’altro, eliminando tra l’altro quello che è uno dei maggiori elementi di stress, e cioè il ritardo con il paziente successivo. Occupandomi di didattica, uno degli argomenti che sto sviluppando insieme ad altri esperti del settore è verificare come spesso errori clamorosi, gravi ma sicuramente evitabili, siano ad esempio conseguenza del lavorare sotto pressione temporale. Quindi programmare opportunamente i pazienti con le giuste tempistiche, oggi imposto dalle regole del distanziamento sociale, potrebbe essere un buon modo per far capire ai nostri pazienti che noi siamo lì per loro, che non corriamo, che non abbiamo premura, che possiamo fare tutto quello che ci richiede di fare nei tempi e nei modi giusti.

Si parla molto di come gli studi stiano rivalutando le modalità di accoglienza dei pazienti per ridurre al minimo le possibilità di contagio degli operatori presenti e dei pazienti. Oltre a tutte le precauzioni che già adotta nel suo studio nella prevenzione delle infezioni, ha avuto modo di ipotizzare in questo periodo altre procedure che ritiene possano essere implementate rispetto alle attuali?
In realtà e come già detto personalmente non ho dovuto implementare molte cose. Ho migliorato il processo di purificazione degli ambienti, ho aggiunto a quanto già presente dei migliori sistemi di filtrazione dell’aria e attualmente in ottemperanza alle norme vigenti non uso l'aria condizionata, che però viene costantemente verificata ed i filtri regolarmente sanificati. Nel mio studio non ci sono mai stati assembramenti perché ho sempre lavorato su appuntamento tenendo un buon intervallo tra un paziente e l'altro, anche per permettere al team di lavorare in un clima rilassato e senza essere sotto eccessiva pressione. Abbiamo sempre avuto il gel di sanificazione, i copri scarpe, gli armadi separati, gli occhiali protettivi per il paziente e lavorato sempre con aspiratori chirurgici ad alta velocità che quindi permettono anche di limitare molto il problema del droplet o degli aerosol. Le mie assistenti ed io abbiamo ovviamente sempre lavorato, oltre che con mascherine, camici, guanti e nulla di personale addosso, con visiere e cuffiette. Devo quindi sinceramente dire che tutte le attuali norme vigenti alle quale ci stiamo ovviamente rigorosamente attenendo, non hanno modificato in maniera significativa le nostre procedure.

Essendo un prestigioso relatore italiano e facendo parte del board dell’International College of Dentists, ha avuto sicuramente modo di confrontarsi con i suoi colleghi di altre nazioni. Ha riscontrato delle idee comuni su come si evolverà la professione nel prossimo futuro?
La domanda è molto pertinente perché grazie ad ICD ho costantemente e quotidianamente contatti con colleghi realmente da tutto il mondo. Abbiamo fatto anche un webinar in cui abbiamo affrontato il problema e quello che io ho notato è una cosa soltanto: una spaventosa disomogeneità di atteggiamento. Ci sono nazioni molto rigorose ed altre che hanno continuato a lavorare senza mai fermarsi (penso ad esempio alla Germania), senza limitazioni e con delle procedure di sicurezza che sono enormemente inferiori alle nostre. Ci sono diversi organismi o diversi enti che stanno cercando di creare delle linee comuni e abbiamo tutti ricevuto le linee guida che sono arrivate da Wuhan e dalla Cina, ma credo che alcune di esse siano difficilmente applicabili almeno nella pratica quotidiana considerando che noi non lavoriamo mediamente in un reparto Covid-19 e che facendo un adeguato triage non dovremmo avere pazienti “pericolosi” in poltrona. Credo che ci sia veramente una totale confusione nella percezione e nella gestione del problema a livello normativo nel contesto dei vari paesi. Temo fortemente che al di là dell’attuale momento di grande confusione e di grande apprensione il futuro sarà affidato al libero arbitrio, cosa non sempre così giusta o sicura per i nostri pazienti, specie se non gestita con la doverosa scienza e coscienza.