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04 maggio 2020

Covid-19: come cambia lo studio. Parte I - L’accesso

By Arch. Massimo Tiberio

Con l’entrata in funzione della fase due, la riapertura delle attività avrà indubbiamente delle conseguenze che determineranno molte modifiche nelle nostre abitudini lavorative. Queste modifiche non si limiteranno solo a variazioni gestionali o modali del nostro fare, ma comporteranno anche un importante cambio nel paradigma contestuale dello spazio lavorativo. Le direttive statali hanno fornito e forniranno attente e specifiche indicazioni su come comportarci (con il cliente, tra i lavoratori, distanze sociali…) ed agire per evitare il contagio di ritorno del Covid-19; ma le direttive determineranno anche ricadute ingenti che esulano dai campi trattati nel loro specifico perché, se leggiamo (e non molto difficilmente) tra le loro righe, queste imposizioni “impongono” un cambiamento ambientale molto importante che si esplica in una drastica modifica dello spazio architettonico del lavorare. Il che comporta, per garantire il corretto contenimento dell’eventuale contagio, che gli studi dentistici dovranno trasformare alcune delle loro aree per agevolare e garantire al meglio la non propagazione del virus non solo dall’esterno all’interno, ma anche all’interno dello stesso studio. Disinfettare più volte al giorno e dotarsi di mascherina e guanti purtroppo non basta per assicurare la non presenza o la non diffusione del virus negli ambienti chiusi; per avere la certezza della sua non circolazione si devono attuare alcune significative modifiche nella struttura architettonica dello studio e queste dovranno tenere conto della specifica natura del virus e della sua via di propagazione: Il virus si diffonde per via aerea, attraverso la disseminazione di goccioline (droplet, particelle con diametro maggiore di 5 micron) e per disseminazione di particelle in polveri (con diametro inferiore a 5 micron) che contengono l’agente infettivo; queste, a differenza del droplet che cade dopo circa 1 metro, hanno invece una dispersione maggiore: all’interno di un raggio di circa 2 metri. Entrambi possono essere trasferite da un oggetto all’altro sia per ricaduta sia per contatto.
Proprio per queste caratteristiche lo spazio dello studio dovrà essere adeguato seguendo due linee direttive: la prima è creare delle zone di protezione e sanificazione in accesso allo studio stesso e la seconda riguarda le modifiche interne dello spazio così da garantire il non permanere di eventuali particelle infettive.

La prima linea di intervento prevede di creare delle aree filtro all’interno delle quali si possano operare situazioni che permettano di isolare eventuali presenze del virus ed evitare che queste entrino all’interno dello studio. La protezione più efficace non deve solo tenere conto della diffusione attiva del Covid-19 (paziente con sintomi evidenti, droplet), ma soprattutto la diffusione passiva ed indiretta, come ad esempio la ricaduta all’interno dello spazio dello studio, delle particelle in polveri che si possono essere depositate su oggetti, abiti, capelli, cappelli, pelle del paziente all’esterno dello studio.

La prima modifica architettonica da apportare allo studio è la creazione di un’area di pre-accesso, ovvero uno spazio di contenimento dove, prima che il paziente abbia accesso effettivo allo studio, si possa fare un triage teorico (attraverso il questionario suggerito da molti ordini medicali) e clinico (attraverso la rilevazione della temperatura con un termometro contactless); se la temperatura del paziente risulta inferiore a 37,5° ed in assenza di altri sintomi il paziente può accedere all’area di accettazione dello studio; diversamente gli viene impedito l’ingresso evitando così che egli possa diffondere particelle o polveri Covid-19 all’interno dello studio. Questa zona di pre-accesso non ha bisogno di grandi dimensioni, basta anche una superfice di 1,5 o 2 metri quadri, ma deve avere delle caratteristiche tecnico-materiche importanti. In primo luogo dovrebbe evitare che ci sia un contatto o una vicinanza fisica tra l’operatore di studio, che farà il rilevamento della temperatura, ed il paziente stesso, così da evitare il diffondersi di eventuali particelle pericolose sull’operatore; in secondo luogo le superfici di questa area devono essere facilmente e velocemente sanificate dopo ogni ingresso. Se non si possiede un vano da poterlo dedicare unicamente a questo scopo, una soluzione pratica, per realizzare tale area, potrebbe essere la presenza di una cabina con pareti e soffitto in materiale sintetico morbido (tipo una tenda in plastica trasparente o simili) che permetta all’operatore di usare dall’esterno il termometro e che possa essere cambiato e lavato/sanificato alla bisogna. Altre soluzioni possono essere cabine autoportanti con strutture rigide, come pannelli di metacrilato (Polimetilmetacrilato o PMMA, materiale plastico simile al vetro, ma più leggero). Tale struttura rigida richiede però, per la disinfettazione, l’intervento diretto, all’interno della cabina, dell’operatore che, tramite prodotti di sanificazione, deve pulire le superfici e ne consegue il successivo cambio dei dispositivi di protezione individuale (dell’operatore) ad ogni sanificazione; in oltre, essendo un materiale rigido, esso non permette la movimentazione del termometro dall’esterno, per cui si dovrebbe ipotizzare un foro con inserito un guanto (usa e getta) per manovrarlo (similmente come in alcune incubatrici neonatali per terapia intensiva). Nell’eventualità invece che lo studio abbia una bussola di ingresso, questa è l’ideale zona di pre-accesso senza dover realizzare un cabina all’interno dello studio, fatto salvo di adeguarla alle necessita tecniche di tale zona.

Un’altra modifica importante, sempre all’interno della prima linea di intervento, è la realizzazione di una “zona due” susseguente e in diretto contatto con quella su descritta; la “zona due” dovrebbe essere suddivisa in tre parti: la prima in cui il paziente possa svestirsi e lasciare cappotti, giacche, borse, zaini, cellulari e vari devices tecnologici (sigaretta elettronica, tablet, videogiochi portatili…) e non (libri, riviste, quaderni, agende…) insieme a quanto altro possa esser venuto precedentemente a contatto con il droplet o la disseminazione di particelle in polveri. La seconda parte della “zona due” prevede l’area di sanificazione attraverso la detersione delle mani, della barba, degli occhiali, etc. con prodotti igienizzanti. La terza è un area di vestizione in cui il paziente possa indossare copri scarpe, cuffietta, guanti ed, eventualmente, dei camici monouso così da isolare gli abiti, i capelli e le mani del paziente stesso evitando il trasferimento delle particelle di polveri sulle superfici interne dello studio. Di queste tre parti quella che dovrebbe essere maggiormente protetta, con una struttura di separazione dall’ambiente dello studio, dovrebbe essere la prima. Essa può esser realizzata similmente all’area di pre-accesso, ma dovrà avere una dimensione superiore (2 o 2,5 metri quadri) per permettere i movimenti corretti e confortevoli di svestizione. Un’idea valida potrebbe essere quella di mettere in contatto con questa area alcuni mobiletti vestiario in cui deporre gli abiti; altrimenti meno costosa e più igienica è la soluzione di far imbustare gli abiti, zaini etc.: naturalmente per l’imbustamento sarebbe auspicabile inserire gli oggetti in due sacchetti, il primo toccato e riempito dal paziente stesso che poi lo posiziona all’interno di un secondo senza toccarlo; questo può essere preso e chiuso dal paziente dopo che ha provveduto a disinfettarsi le mani. Questi doppi sacchetti, volendo, possono essere portati all’interno dello studio e tenuti dal paziente che non dovrà mai e in nessun caso aprirli (neanche se il cellulare squilla). La soluzione più sicura per evitare aperture del sacchetto è quella di depositarli in un vano o mobile chiuso a chiave (per garantire la sicurezza degli oggetti personali del paziente) e non a contatto con le aree più sensibili dello studio (sala operatoria, bagni, laboratori tecnici…). Le altre due aree della “zona due” non hanno bisogno di una struttura autonoma di protezione e devono essere in diretto collegamento con la prima; è buona regola realizzare la “zona due” all’interno di una stanza chiusa senza alcuna apertura libera o in diretto contatto con gli altri vani dello studio.

L’abitudine a dover imbustare gli oggetti personali e gli abiti comporta anche una modifica gestionale e spaziale delle operazioni di contabilità con il paziente ed implica di rivedere e valutare il momento esatto di quando esplicare tali operazioni perché esse richiedono di aprire il sacchetto o il camice e togliere i guanti per portare all’interno dell’ambiente sterile dello studio oggetti potenzialmente contaminati (il portafoglio, il cellulare per pagamenti conctactless…). Nel caso di far esplicare le operazioni finanziare prima che il paziente riponga i suoi oggetti personali nel contenitore monouso (suggerito da molti ordini medici), allora bisognerà ripensare alla dimensione e alle specifiche tecniche della prima area della “zona due” e preventivare una zona cassa in concomitanza con essa, ma all’interno di una struttura protetta e divisa dal resto dello studio e della “zona due”; questo volume dovrebbe anche essere dotato di una pattumiera chiusa ad apertura a controllo remoto (piede, contactless, wireless…) per depositare i guanti e le protezioni monouso della cassa dopo ogni operazione contabile. L’altra soluzione potrebbe essere far pagare il cliente a fine del trattamento (come si è sempre fatto), ma questo richiederebbe di realizzare un diverso percorso di uscita, separato da quello di entrata, all’interno di un’ulteriore zona di protezione divisa dallo spazio dello studio; questa soluzione comporterebbe anche un ennesimo cambio dei dispositivi di protezione individuali degli operatori. Tale scelta è sconsigliabile sia per un discorso economico-realizzativo sia per la necessità di avere ampi spazi connettivi nello studio; la soluzione può essere fattibile solo se lo studio sia già dotato di due ingressi separati o di uno spazio foyer notevolmente ampio tale da poter contenere al suo interno più strutture-cabine di protezione.